In Toscana il preludio del congresso nazionale del Pd

Categoria: Italia

Effetto Conte. L'alleanza Pd-Cinque stelle messa in discussione dai riformisti del Pd

DAVID ALLEGRANTI 23.2. 2021 ilfoglio.it lettura4

Bonafè’

Anteprima del duello congressuale nazionale in Toscana, dove i rapporti di forza sono rovesciati rispetto a Roma. Gli zingarettiani lasciano la segreteeria e accusano Simona Bonafè di essere la quinta colonna del renzismo, la maggioranza riformista dice di non volere "ventriloqui" di Bettini mandati da Roma. Fuori il vicesegretario regionale, zingarettiano.

PD SIMONA BONAFÈ NICOLA ZINGARETTI CONGRESSO PD

“Non vogliamo un ventriloquo da Roma”, dicono nella maggioranza del Pd toscano, che si è appena spaccato, preludio forse di quel congresso nazionale invocato da molti e che già si consuma in riva d’Arno, dove i rapporti di forza sono rovesciati rispetto alla Capitale.

Lunedì, alla direzione regionale, gli zingarettiani - che in Toscana sono minoranza - non si sono presentati. Non hanno gradito la defenestrazione del “ventriloquo”, al secolo Valerio Fabiani, ex vicesegretario del Pd toscano, appena cacciato, accusato dalla maggioranza di intervenire sui giornali per conto di Nicola Zingaretti e Goffredo Bettini per attaccare spesso e volentieri la segretaria Simona Bonafè, colpevole secondo il Nazareno di essere una quinta colonna del renzismo. Sicché, a un certo punto la segretaria Bonafè s’è stufata e ha disposto la rimozione di Fabiani. “Ma io non butto fuori nessuno. Per me parlano i fatti”, dice al Foglio Bonafè. “Ho sempre lavorato nel segno dell’unità, dal giorno dopo il congresso regionale che ho vinto con il 65 per cento ho chiesto al mio avversario di fare il vicesegretario, ho lavorato per l’unità nella costituzione dell’esecutivo precedente, delle liste per le regionali, nella composizione della giunta regionale. Ma l’unità del partito è fatta anche di rispetto dei ruoli e non è compatibile con gli attacchi continui sui giornali”.

Lo scontro è ad ampio raggio, ma tutto nasce dall’idea di candidatura di Giuseppe Conte nel collegio di Siena, alla quale Fabiani si è detto favorevole e Bonafè nettamente contraria. L’ipotesi è tutt’altro che tramontata e potrebbe essere riproposta, anche perché lo schema Zingaretti-Bettini prevede ancora un’alleanza organica e strutturale con M5s e Leu (magari con Conte nei panni di federatore). Come si intuisce, locale e nazionale si tengono insieme. Il duello interno al Pd toscano è soltanto una riproduzione di quel che sta avvenendo o avverrà nei prossimi mesi a Roma, dove già si discute di congresso con vari protagonisti pronti a cimentarsi (a partire da Stefano Bonaccini, che sarebbe sostenuto dalla parte di Pd non zingarettiano). “Sono pronta a ripartire con una gestione unitaria del partito domani mattina, ma su presupposti nuovi di rispetto reciproco”, sottolinea Bonafè. “In questo momento in piena pandemia più che parlare di congresso, occupiamoci di vaccini e di rimettere in piedi l’economia. Anche se credo che non possiamo esaurire la nostra proposta politica solo parlando di alleanze e non di cosa siamo e cosa proponiamo. Abbiamo bisogno di essere riconoscibili e riconosciuti. Sono ancora affezionata all’idea del partito democratico di veltroniana memoria, a vocazione maggioritaria, in grado di parlare a tutti i riformisti con la forza delle proposte”.

Congresso o no, è comunque sull’idea diversa di partito che si discute. Che fare, insomma dell’alleanza con il M5s? Che fare di Conte? “Un partito stretto in un campo largo è condannato alla subalternità”, dice al Foglio il senatore Dario Parrini. “Un campo largo vincente si può costruire solo a partire da un grande partito a vocazione maggioritaria che sia il pivot della coalizione in quanto è in grado di candidarsi ad essere il primo partito del Paese e a rappresentare almeno un terzo degli elettori”. Insomma, dice Parrini, “la nostra prima preoccupazione dev’essere rafforzare il Pd parlando agli italiani delle riforme che vogliamo per sanità, fisco, pubblica amministrazione, al fine di ridurre disoccupazione e disuguaglianze. Fatto questo, stringeremo, senza alcuna preclusione, tutte le intese compatibili con compromessi accettabili e richieste dal sistema elettorale vigente. Secondo me il modello dell’’alleanza di programma costruita sulle cose da fare’ funziona più del modello della ‘alleanza preconcetta calata dall’alto’. Lo dico precisando di stimare il lavoro fatto da Conte e difeso fino all’ultimo il tentativo di fare il Conte-ter. Semplicemente, mai mettere il carro avanti ai buoi”. Aggiunge la deputata Rosa Maria Di Giorgi, ex zingarettiana appena passata con Base Riformista, la componente di Lorenzo Guerini e Luca Lotti: “Credo che sia necessario che il Pd della Toscana abbia una gestione unitaria, cercando di valorizzare al meglio le sensibilità presenti al suo interno. Maggioranza riformista e minoranza zingarettiana devono trovare una sintesi sulla segreteria nell’interesse dei Toscani. Se ci sono stati errori adesso vanno superati. Il vicesegretario sarà un esponente della minoranza, quindi credo che sia urgente adesso accordarsi su un nome, in accordo con la segretaria, come da sempre avviene in situazioni di questo tipo. Faccio un appello perché si sblocchi questo stallo che non fa certo il bene del partito”. Come osserva Antonio Mazzeo, presidente del Consiglio regionale, “oggi i cittadini mi chiedono dei vaccini e questa situazione proprio non la capiscono. Non è tempo ora di parlare di alleanza ma dobbiamo chiederci qual è la funzione storica che il Pd deve svolgere nella fase post pandemica”. Certo, la questione alleanze resta in piedi. Anche perché gli zingarettiani, a dirla tutta, vorrebbero liberarsi di Italia viva, che in Toscana governa con il Pd e sostiene Eugenio Giani. Alle prossime amministrative, dunque, il laboratorio Pd-M5s-Leu si potrebbe verificare non a Roma ma a Sesto Fiorentino e Grosseto, dove l’alleanza giallorosé è già nata. “Abbiamo vinto le elezioni con un programma riformista e con un candidato riformista. Stiamo governando bene. Adesso il Pd deve scegliere da che parte stare, se con i riformisti o con i massimalisti”, dice al Foglio il deputato di Italia viva Gabriele Toccafondi: “E massimalisti a volte fa rima con masochisti…”.