La dura vita di Salvini tra Speranza, Pd, Meloni e Giorgetti: "Sono in fase zen"

Il cerchio magico del leader della Lega si è ristretto. Sulle critiche del suo numero 2 insorgono i parlamentari vicini a Matteo: "Perché Giancarlo non parla di Ilva?". Così Salvini resiste con in mente due date

SIMONE CANETTIERI 05 APR 2021 ilfoglio.it

Il leader della Lega è circondato, ma deve tenere duro fino all'elezione del Capo dello Stato. In settimana incontrerà Draghi per parlare di riaperture

Altrimenti ci arrabbiamo. Matteo Salvini dice di essere ritornato “in fase zen”, come ai vecchi tempi del Viminale. Non minaccia sfracelli, dice e si convince di vedere l’aspetto positivo di questa esperienza di governo con Draghi, prova a godersi e a rivendicare il cambio della catena di comando nella gestione della pandemia. “I problemi non sono i tecnici, ma i nostri partner: a partire dal Pd”, dice nelle riunioni sempre più ristrette.

Matteo Salvini, a dire il vero, ce l’ha con un sacco di persone: Roberto Speranza (“che fa pagare a sessanta milioni di italiani le sue frustrazioni letterarie e ha il 2 per cento”), il Pd di Enrico Letta che lo provoca con la legge Zan in combutta con il M5s (“io mica rilancio i porti chiusi”) e con un clima in generale che lo spinge, dice, a un “fallo di reazione”. A mandare al diavolo tutti per tornare a fare ciò che meglio gli riesce. Ma il leader della Lega confessa che ormai no, non può inventarsi un nuovo Papeete. Non ora. Anche se le amarezze non mancano. Anche interne. Non ha gradito i retroscena (non smentiti) di Giancarlo Giorgetti, questo sì. L’uomo che accettò la candidatura del Trota, che mai mosse un dito pubblicamente davanti alla decadenza della Lega di Bossi adesso fa filtrare umori neri nei suoi confronti. “Perché non pensa all’Ilva o all’Alitalia?”, dicono i parlamentari vicini a Salvini. Che in settimana, intanto, vedrà Draghi.

Salvini è convinto di poter incassare le aperture del governo, seppur minime che saranno. Sa di avere il fiato sul collo di Giorgia Meloni (“che scommette dall’opposizione sul fallimento del paese”, si sfoga) e quindi si augura che per fine aprile possa rivendicare almeno qualche pranzo nelle regioni in regola con contagi e vaccinazioni. Ecco perché è pronto in settimana a ribadire al premier la sua linea, così solitaria, sull’allentamento delle misure.

Intanto però i ministri che partecipano al Consiglio dei ministri riportano questa battuta di Giorgetti a proposito del leader del Carroccio. “Poi ci sarebbero le posizioni di Salvini, ma Salvini, si sa, è Salvini”, direbbe, con fare notarile, il numero due della Lega al cospetto della variegata compagine di governo.

Sorrisini. Imbarazzi.

L’ex vicepremier non ci crede fino in fondo, ma è consapevole di quanto sia complicato per uno come lui stare in maggioranza ma non sedere al governo. Tanto che a volte ammette: “Non vedo l’ora di ributtarmi tra la gente!”. E quindi: clic, selfie, avanti il prossimo. Ah, che tempi e che bacioni. C’è però un aspetto che non sfugge a nessuno in Via Bellerio: con il governo Draghi, a differenza di quello gialloverde con il M5s, Salvini ha ristretto e di brutto il cerchio magico dei consiglieri. Adesso si trova a elaborare e condividere posizioni politiche con un nucleo sempre più ristretto: non ci sono Giorgetti e Centinaio, ma nemmeno, per esempio, Giulia Bongiorno (è molto defilata: si occupa solo dei processi dell’ex ministro dell’Interno). Tutto s’è fatto più piccino in questa gabbia dorata di Matteo. Che s’è dato un’agenda chiara, scandita da due appuntamenti: le amministrative di ottobre e l’elezione del presidente della repubblica. Fino al prossimo febbraio deve resistere. Anche se i suoi spiriti animali lo spingerebbero a feroci ultimatum, alla riedizione di Papeete 2.0. Ma uscire adesso, ragiona Salvini, sarebbe un regalo alla sinistra che approverebbe leggi invise alla Lega e poi c’è la partita del capo dello stato. E in mezzo: i fondi del Recovery e la sbornia del paese per il ritorno alla normalità. Ma attenzione, dice, che non tirassero troppo la corda. Altrimenti ci arrabbiamo. E almeno abbaiamo.

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