Caro Bettini, il BisConte è caduto per ragioni politiche palesi, non per manovre oscure

Categoria: Italia

È vero che l'ex presidente del Consiglio aveva un difetto di legittimazione nel circuito del potere, ma nessuno l'ha fatto cadere per questo motivo. E quando Mattarella scelse Draghi non fu per una logica di lobby o di poteri forti

GIULIANO FERRARA 14.4. 2021 ilfoglio.it lettura3’

L’Italia è un paese importante, per noi che la abitiamo ovviamente, e anche per gli stati partner europei, per alleati e avversari, per grandi corporation e gruppi di interesse istituzionali e non. Quando cambia il governo, tutti ascoltano, guardano, si fanno un’opinione su formule, persone, combinazioni politiche, possibili conseguenze. Da tempo, all’atto del passaggio dal BisConte a Draghi, eravamo osservati speciali, prima per la fottutissima occorrenza del primo governo populista e antieuropeo nell’Europa occidentale, poi per la riconversione lenta e contraddittoria a qualcosa di meno eccentrico con l’alleanza sinistra-grillini e l’emarginazione della destra a guida salviniana. Naturale che si sia guardato con attenzione da ogni dove a come si disponeva il meccanismo della crisi, durata alcuni mesi fino all’esito noto e connotato dall’arrivo di una grandissima e conosciutissima personalità di livello europeo e internazionale alla guida dell’esecutivo. Ma dove sta non dico la cospirazione, ipotesi sommamente ridicola, ma anche solo la pressione irresistibile dei poteri forti nazionali e internazionali che ha portato al cambio, secondo l’ipotesi tirata fuori in un manifesto di area politica dal mitico Goffredo Bettini?

      

Da nessuna parte. Pier Luigi Bersani, spirito pratico e non ideologico come Bettini, aveva usato un’espressione acconcia, rivolta ai media principali e a molti ambienti confindustriali e circonvicini: ha detto che ce l’avevano con Conte anche perché era un tipo “fuori dal giro”. Questo è vero ed è sempre stato sotto gli occhi di tutti coloro che non se li erano foderati di prosciutto. Conte aveva un difetto di legittimazione nel circuito del potere. Come “avvocato del popolo” faceva addirittura ridere, non era un eletto, era solo un curriculum debole formatosi a contatto con uno studio legale molto forte, era stato scelto per suggerimento sottile di uomini del Quirinale quando la formazione contrastata e in certa misura a sorpresa dell’esecutivo Di Maio-Salvini doveva risolversi nella nomina di un vice dei suoi vice, un terzo che non facesse ombra ai veri padroni del vaporetto populista, insomma un’autorità fictional. Poi la situazione si è rovesciata.

      

Conte diventò BisConte, con il cambio di alleanze dei grillini, perché seppe compiere un atto politico liquidando in Senato, senza strepiti ma con soave e accorta durezza, il vice di cui era stato il vice, l’ineffabile Truce Salvini reduce dai fasti del Papeete. Con la pandemia, da semplice punto di equilibrio divenne un vero presidente del Consiglio, seppe chiudere al momento giusto e governò l’emergenza con errori e improvvisazioni, inevitabile, ma anche con estrema decenza, finché non ci fu, anche con il suo contributo di rappresentante della terza economia europea, la svolta del Next Generation Eu, passaggio decisivo nella crisi finale del populismo antieuropeo. A quel punto, e siamo nelle vicinanze dell’autunno dell’anno scorso, Conte entricchia in un giro di personalità politiche rispettate, ha alle spalle un grillismo diviso e litigioso, in forte e continua caduta elettorale e in riconversione politica decisa, e l’alleato Pd gli conferisce addirittura l’aureola di punto di “orientamento” dei progressisti.

  

Con la seconda ondata della pandemia e con l’aiuto di un suo andreottismo indecisionista, si inizia la crisi lunga che porterà alle sue dimissioni dopo l’uscita di Renzi dal governo. Draghi fu scelto da Mattarella, con la missione dell’unità nazionale, non per una logica di lobby o di poteri forti, ma per un motivo sostanziale e tutto esplicitamente politico, a parte il suo enorme prestigio personale di salvatore dell’euro: Conte non aveva più la maggioranza, Renzi avrebbe voluto ridimensionarlo o farlo fuori ma ci teneva a restare il titolare di un potere di coalizione in una maggioranza politica di centrosinistra, diciamo così, fatta dal Pd e dai residui pentiti del vecchio populismo, invece le cose si incartarono e arrivò il cambio di schema che trasforma tutto pur nella evidente continuità di base. Sono tutte cose politiche evidenti, solo un miope forte non le distingue, e niente di tutta questa storia allude a un complotto o a una campagna orchestrata. Resta vero che l’establishment italiano, in questo caso media e confindustriali all’avanguardia, non apprezzava questa presa di media gittata e questa guida in fase di spesa pubblica europea da parte di uno fuori del “giro”. Ma è una vecchia abitudine, una costante perfino banale, non una manovra oscura.