Così Draghi striglia il ministero dell'Ambiente: "Così rallentate tutto"

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Il ministro Cingolani vuole correre, ma i suoi tecnici lo imbrigliano. E le "Semplificazioni" del Recovery si complicano. la tensione con Palazzo Chigi, dove le proposte dei tecnici del "Mite" vengono riscritte

VALERIO VALENTINI 06.5. 2021 ilfoglio.it lettura3’

ROBERTO CINGOLANI ENRICO GIOVANNINI RECOVERY PLAN MARIO DRAGHI

Mite, fin troppo Mite. Quasi tutti, pure tra quelli più indispettiti, concordano su un punto: la colpa non è sua, che anzi lui, Roberto Cingolani, fin troppa buona volontà ci mette. “Ma con quei mandarini dell’immobilismo, bisognerebbe usare il machete, e lui invece ci va col cacciavite”, dicono i colleghi di governo. Che certo lo avevano avvertito: “Guarda che il ministero dell’Ambiente è irriformabile”, ma magari speravano nel suo entusiasmo, nella sua autorevolezza. Sta di fatto che, quando sul tavolo del presidente del Consiglio sono iniziate ad arrivare le proposte del Mite per il dl “Semplificazioni” in gestazione, tra i tecnici di Palazzo Chigi è sorto qualche mugugno: “Bisognerà migliorarle, così non si semplifica granché”, si sono detti, sotto il coordinamento del sempre vigile Roberto Garofoli. Che, forse fiutando l’aria, nel Pnrr aveva voluto esser chiaro.

E così aveva deciso di accogliere le lamentele di Enrico Giovannini, titolare dei Trasporti, che a ogni riunione riservata arrivava con grafici che certificavano la lentezza pachidermica nel rilascio delle Valutazioni di impatto ambientale (Via) da parte del ministero. “Considerando l’attuale tasso di rilascio dei titoli autorizzativi per la costruzione ed esercizio di impianti rinnovabili, sarebbero necessari 24 anni per raggiungere i target paese per la produzione di energia eolica e ben 100 anni per il raggiungimento dei target di fotovoltaico”. Paradosso riportato nero su bianco a pagina 67 del Pnrr. Numeri che, da soli, giustificherebbero qualsiasi temerarietà di Cingolani.

E invece il ministro, a dispetto dell’assertività delle sue dichiarazioni d’intenti, per ora ha preferito la via della prudenza, conscio di doversi confrontare con una tecnostruttura che alla cultura del velocizzare è assai refrattaria – un po’ come quella dei Beni culturali, da cui continuano a piovere pareri negativi su tutti gli impianti per le rinnovabili.

Dinamiche ben note a Palazzo Chigi. Dove del resto, già l’estate scorsa, s’erano ritrovati a fronteggiare l’ostruzionismo dei consulenti dell’allora ministro Sergio Costa. Perché nel decreto “Semplificazioni” dell’epoca, quello di marca rossogialla, era stata introdotta una fast track, ovvero una speciale procedura di Via accelerata per una serie di opere strategiche, contenute nel Programma nazionale dell’energia e del clima. Perfino Confindustria applaudì alla svolta. Poi, però, quando si trattò di procedere coi decreti attuativi, l’Ambiente si mise di traverso, e i suoi uffici giuridici s’arrogarono il diritto di individuare delle “aree idonee”, le uniche all’interno delle quali quelle procedure agevolate fossero consentite. E tutto, ovviamente, s’impantanò sul nascere. Ora, siccome è dalle pieghe di quel provvedimento che il nuovo “Semplificazioni” (da varare entro metà mese) dovrà ripartire, ampliando ed estendendo molte di quelle misure e creando delle corsie preferenziali per le opere contenute nel Pnrr, alle prime avvisaglie di sabotaggio i tecnici dei Trasporti, così come quelli della Transizione digitale e del Mise, sono sbottati: “Ci risiamo”. E del resto simili cortocircuiti si registrano anche rispetto allo snellimento dei requisiti per l’accesso al Superbonus, una selva di paletti di fronte ai quali lo stesso Draghi è trasecolato (“E poi ci meravigliamo se questa misura non tira come dovrebbe?”).

Certo, è probabile che il peccato originale stia nella creazione stessa del Mite, il famigerato “Superministero” della Transizione ecologica: perché trasferire le direzioni generali dell’Energia dal Mise all’Ambiente ha inevitabilmente esteso il potere di una casta di tecnici che, un po’ per indole acquisita e un po’ per quella vertigine di potere che dà il sapere di poter bloccare progetti e opere, fa della complicazione il suo vanto, dell’arabesco la linea più breve con cui congiungere due punti. “Ma qui ci sono 248 miliardi da usare, e una reputazione da difendere in Europa”, ripete Draghi ai ministri. “Dalla nostra capacità di spendere bene le risorse del Recovery passa la possibilità di vincere la battaglia sul debito comune”, insiste il premier. E quando lo fa, c’è chi scherza nel paragonarlo al dio dell’Apocalisse, quello che vomitava dalla sua bocca l’angelo tiepido, l’angelo “Mite”.