Coraggio Goffredo. Nel Pd si profila una svolta antipopulista sulla giustizia, e a promuoverla, pensate un po’, è Bettini

Categoria: Italia

Proprio mentre Conte da un lato e Letta dall’altro sembrano rifluire sulle tradizionali posizioni giustizialiste, il massimo teorico dell’abbraccio con i grillini rompe gli schemi, sposando i referendum su separazione delle carriere e custodia cautelare

Francesco Cundari 4.6.2021 linkiesta.it lettura3’

La politica italiana è spesso violenta, irrazionale e diseducativa, ma non è mai noiosa. Dopo l’abiura della gogna mediatica da parte di Luigi Di Maio e la contestuale teorizzazione di un’equivalenza tra «garantisti» e «impunitisti» da parte di Enrico Letta, a lanciare il segnale più serio di una possibile svolta antipopulista sulla giustizia all’interno della sinistra è stato, pensate un po’, Goffredo Bettini.

È accaduto infatti che ieri il principale teorico, nel Pd, della strategia dell’abbraccio con i populisti grillini, ha scritto sul Foglio un ampio articolo in cui argomenta perché a suo giudizio i democratici dovrebbero appoggiare i referendum radicali sulla giustizia, e pazienza se a saltarci sopra per primo è stato Matteo Salvini.

Per la precisione, Bettini si schiera a favore dei quesiti sulla separazione delle carriere e per limitare il ricorso alla custodia cautelare (e scusate se è poco), esprimendo una posizione più articolata su altri, come quello sulla responsabilità civile dei giudici. Auspica, soprattutto, che i referendum abbiano l’effetto di «spingere in avanti una legislazione che si è dimostrata lenta negli anni passati», in un confronto che «aiuti la politica a riformare se stessa» e «a svilupparsi al di fuori di speculazioni e di scorciatoie giudiziarie per eliminare l’avversario».

Non si tratta di cosa da poco. Anzitutto nel merito, perché a sinistra, in particolare attorno al feticcio della separazione delle carriere, un simile strappo non era mai stato consumato (ma non minore attenzione merita la scelta di contrastare l’abuso della custodia cautelare in carcere). E anche nel metodo, perché, specialmente su questi temi, la sinistra ha molto contribuito al consolidamento di una sorta di bipolarismo di Pavlov, fondato sulla logica amico-nemico, in base alla quale tutto ciò che fa o dice l’avversario è sbagliato e tutto ciò che c’è di sbagliato in Italia è direttamente o indirettamente colpa sua. Un tempo, insomma, la firma di Matteo Salvini sarebbe bastata non solo a squalificare l’intera iniziativa, ma sarebbe diventata la bandiera di una campagna contraria.

Il fatto che personalmente Bettini non sia mai stato un giustizialista non toglie nulla all’importanza della sua presa di posizione, che rappresenta una felice novità anche nella geografia del Partito democratico, dove sarebbe stato naturale attendersi una simile posizione dalla destra (interna, s’intende) post-renziana, non certo dalla sinistra (idem) post-zingarettiana. Ancora più sorprendente è che questo accada proprio mentre il punto di riferimento fortissimo di quell’area, Giuseppe Conte, fa esattamente il contrario, e scavalca Di Maio su posizioni di ortodossia giustizialista (strizzando l’occhio all’ala radicale dei casaleggesi), e lo stesso Letta, come si è già ricordato, fa pure di peggio, coniando l’orrendo «impunitisti» per produrre una falsa equivalenza, cioè una notte in cui tutte le vacche sono nere.

Nel buio di una simile notte, l’articolo di Bettini irrompe dunque come un lampo di civiltà, umanità e intelligenza, anche per il modo in cui si fa beffe di tabù e ipocrisie decennali. Non solo quando osserva che troppo spesso il «selvaggio chiasso» attorno alle indagini su esponenti politici e di governo «ha portato a linciaggi personali che poi si sono risolti nel nulla, in assoluzioni che non hanno minimamente ripagato le sofferenze». Ma soprattutto quando sottolinea che «tale chiasso ha spinto, quando si è accertata la colpa, a condanne ritenute “esemplari”». Dunque, pur non volendo discutere le sentenze «che ognuno ha il dovere di accettare», ci mancherebbe, Bettini non esita ad aggiungere che «non si può sfuggire a una valutazione libera sulla congruità di certe condanne». Da una parte e dall’altra: «Da quella così pesante al mio amico fraterno Nichi Vendola, un vero galantuomo, a quella di un mio avversario politico, che appunto ho considerato sempre un politico e non un criminale, come Gianni Alemanno».

Ecco, comunque la si pensi sui singoli casi e le singole personalità citate, credo che Bettini andrebbe ringraziato anche solo per questo piccolo saggio di civiltà della politica, che i populisti ovviamente non tarderanno a definire «solidarietà di casta», e per il quale non mancheranno di accusarlo di ogni possibile macchinazione. Pur consapevole che sarà per lui ben magra consolazione, mi pare un motivo di più per elogiarlo senza riserve, nella speranza che la sua posizione personale su questa delicata materia, così ben argomentata sul Foglio, divenga presto la posizione di tutto il Partito democratico.