Meno Borghi, più Draghi. Un girotondo tra i leghisti veneti

Categoria: Italia

Se alla Liga viene tolto il territorio viene tolta la sua ragione sociale. Ma dall'antifascismo al green pass, "vediamo la politica dell'opportunismo, non certo della responsabilità. Chi eletto a Roma si è isolato nella dolce vita?". Parlano Gobbo, Marcato e Favero

GIORGIO BARBIERI 07.9.2021 ilfoglio.it lettura4’

LEGA VENETO LUCA ZAIA

“Non si possono mettere in discussione trent’anni di militanza per un caffè”. Il malessere montante della base veneta per la Lega a trazione salviniana può essere racchiuso in questa semplice frase di Gian Paolo Gobbo, ex sindaco di Treviso, per quattordici anni segretario della Liga (non Lega, ci tengono a marcare la differenza) e mentore di Luca Zaia.

Il motivo del contendere è una scaramuccia locale: a Conegliano, terra di prosecco che sta per rinnovare il sindaco e cara al governatore veneto, Giovanni Bernadelli, 54 anni di cui trenta trascorsi da militante nel partito, è stato espulso di punto in bianco perché è stato visto chiacchierare con il candidato avversario durante un volantinaggio al mercato cittadino. Un provvedimento considerato sproporzionato dai militanti che ha fatto anche saltare il tappo del malessere non solo nei confronti della politica commissariale imposta da Salvini sui territori, ma anche sulla gestione di alcuni temi, dal Green pass al caso Durigon, che in Veneto non è piaciuta affatto. Tanto che ora in tanti chiedono a gran voce la convocazione dei congressi per mettere un freno alla “salvinizzazione” della Liga, che si rifiuta di trasformarsi in quel partito “leggero” che via Bellerio sembra voler imporre.

La prima crepa visibile sull’asse Roma-Veneto è stata la gestione del caso Durigon, l’ex sottosegretario all’Economia dimessosi per aver proposto di intitolare al fratello di Mussolini un parco di Latina che oggi porta i nomi di Giovanni Falcone e Paolo Borsellino. Se Zaia sceglie di tenersi a distanza di sicurezza, non si fa invece problemi a dire la sua l’assessore regionale Roberto Marcato, il “bulldog istituzionale” della Liga che con oltre undicimila preferenze è stato il recordman delle ultime elezioni. “Mi sono iscritto alla Liga nel 1992”, racconta, “in quegli anni era un partito rivoluzionario e anche chiaramente antifascista”.

Il giorno della morte di Gino Strada lui e Zaia avevano pubblicato su facebook una pagina del Tgr del Veneto dove si diceva che Gino Strada dal 2007 aveva scelto Venezia come sua città di residenza. Su entrambi sono piovuti insulti di ogni genere tanto che perfino “gli ultrà del Padova hanno esposto uno striscione sul muro dello stadio contro di me”. A Marcato certo non sfugge che se si passa dal 3,9 al 40 per cento, com’è accaduto fino a due anni fa, è necessario pescare in aree molto diverse cambiando un po’ natura. “Non ci deve essere il rischio di annacquare la nostra natura antifascista”, aggiunge, “recentemente ho visto scivoloni, ma ho notato e apprezzato il passo indietro. La Lega è un grande partito popolare: trovi gente che votava Rifondazione, i moderati e quelli di destra. Ma i fascisti hanno valori che non sono i nostri".

Superato il caso Durigon è arrivato il voto contro l’obbligo del Green pass di Claudio Borghi in commissione Affari sociali. In Veneto, una delle regioni maggiormente colpite dal Covid anche dal punto di vista economico, nessuno ha più voglia di strizzare l’occhio ai no-vax o no-pass. “Mi è sembrata politica dell’opportunismo, non certo della responsabilità”, commenta il consigliere regionale leghista Marzio Favero. Sa di cosa parla perché da sindaco di Montebelluna ha dovuto affrontare un’altra catastrofe economica per il territorio: il fallimento di Veneto Banca, l’ex popolare trevigiana che ha azzerato i risparmi di decine di migliaia di famiglie. “Mi chiedo cosa faremmo di fronte a una nuova ondata di contagi e decessi”, aggiunge, “perché non possiamo dimenticare cosa hanno vissuto il Veneto e l'Italia da quasi due anni a questa parte”. Chi va giù ancora più duro è Fulvio Pettenà, storico presidente del Consiglio provinciale di Treviso e fedelissimo di Zaia. “Inaccettabile, roba da non credere”, ha detto alla tribuna di Treviso, “almeno chiedano scusa e ammettano di aver commesso un grave errore. Ma questi eletti a Roma fanno qualche telefonata ai loro territori, o si sono isolati nella dolce vita romana? Sanno cosa sta facendo qui Zaia e la sua giunta, i sindaci, per far vaccinare la gente, per fronteggiare la pandemia, per far girare nuovamente l'economia? No, non si possono sentire certe prese di posizione. Se non arrivano le scuse, doverose, chiedo si pronunci il commissario provinciale e quello regionale, abbiamo diritto di sapere quale sia la linea del partito”.

Proprio per questo da più parti viene ora chiesta la convocazione dei congressi. “Ora che sono finite le vacanze la prima cosa da fare è fissare i congressi di sezione, poi i provinciali e quindi i regionali”, spiega Marcato, “lo chiederò al primo direttivo utile di settembre. La Liga è un partito radicato sul territorio e per questo i militanti hanno il bisogno e il diritto di potersi scegliere i loro rappresentanti. La stagione congressuale può essere anche uno stimolo sia qui che a Roma: dedichiamoci un po' di meno al Green pass e un po' di più all'autonomia”. In gioco c’è il futuro del partito perché, spiegano in Veneto, se alla Liga viene tolto il territorio viene tolta la sua ragione sociale. “Così si rischia di perdere di vista valori storici e radici facendo prevalere logiche di leader e leadership rispetto alle ragioni del partito e del movimento. Ma non vale solo per la Lega, è un segno dei tempi”, afferma Gian Paolo Gobbo che da dirigente della prima ora al fianco di Umberto Bossi ricorda che “nella vecchia Lega le segreterie davano la linea. E se si discuteva lo si faceva al nostro interno. Ma alla fine c’era l’unanimità”.

Il voto sul Green pass ne è un esempio: “Succede perché non ci sono incontri, non si fanno riunioni, e i parlamentari non rientrano più in un contesto di dialogo con i loro territori. Manca il confronto diretto che è la linfa vitale di un partito e di un movimento”. E da vecchia volpe lancia anche una proposta: “Suggerirei di introdurre una forma di obiezione di coscienza, come per la leva o per l’aborto. Quando si entra in campo etico e morale, bisogna pensare anche a persone che dicano no. Credo che molti problemi potrebbero essere risolti, in questo modo”.