Dal cespuglioso pasticcio del reddito di cittadinanza non usciremo

Categoria: Italia

Manca la pulsione a fuggire la miseria, ma anche i mezzi per farlo

GIULIANO FERRARA 09.9. 2021 ilfoglio.it lettura3’

Di un amico che articolava con fatica i concetti, quel gentiluomo vecchio stampo di Macaluso diceva che aveva “un’intelligenza cespugliosa”. Tutti i ragionamenti sul reddito di cittadinanza, di qui in avanti Rdc, sono di natura cespugliosi, anche quando non sembra che lo siano. Con due eccezioni. Chi lo lanciò in Italia furono i demagoghi che assicuravano di poter eliminare la povertà sostituendola con l’assistenza; chi lo osteggiò da un punto di vista liberale o socialdemocratico, welfare to work, oh yes!, garantiva che avrebbe incentivato la pigrizia sociale ribadendo il meccanismo dell’esclusione dal mercato del lavoro.

In un certo senso, avevano le loro ragioni entrambe le posizioni assolute, di principio e di fatto. Il Rdc ha esteso la rete di protezione sociale alleviando situazioni di crisi e in occasione della pandemia si è visto quanto fosse opportuna quell’estensione, che per il resto è andata ben oltre il Rdc, con un’ondata di sussidi bestiale ma necessaria, una gigantesca estensione dell’estensione. D’altra parte, il Rdc è stato anche una truffa; con la fiscalità generale, prodotta dal Rdl o reddito da lavoro pulito, si è incrementato il tasso di lavoro nero, si è creata una platea di percettori a sbafo ben al di là delle situazioni di effettivo bisogno, si è messa in piedi una categoria di intermediazione che non ha funzionato se non come ulteriore sussidio (i navigator eccetera), si è spesso sostituito il metro di misura dell’ingiustizia e dell’assalto alla diligenza a quello dell’emulazione e della competizione sul mercato.

La contraddizione non consente la validità di entrambi questi ragionamenti o osservazioni empiriche. Bisogna dunque non abolire, ma riformare l’istituto, una via di mezzo. Ma questo ci fa inoltrare nell’intelligenza cespugliosa delle cose. Perché in realtà, a parte qualche ritocco, il Rdc è irriformabile. Sta lì, e starà lì più o meno com’è per generazioni. In forme diverse ma convergenti è esteso a molti, moltissimi paesi. Qui ha un’origine demagogico-pauperista, ma è anche uno strumento teorizzato dalla cultura economica liberale ad altre latitudini, ed è una tipica modalità della socialdemocrazia welfaristica, in particolare nel nord Europa. Per riformare il Rdc secondo lo scopo di favorire l’inserimento nel lavoro attenuando le conseguenze della sua mancanza, in via provvisoria, bisognerebbe che l’avviamento al lavoro fosse un obiettivo primario della persona, un dato culturale e comportamentale diffuso quasi senza eccezioni, una pulsione irresistibile all’integrazione e a un’uscita dalla miseria sociale con le proprie forze. Sta di fatto che le cose non stanno così né nei paesi dell’opulenza e del welfare che estendono a livelli oggi impensabili in Italia le garanzie e le protezioni pubbliche né in un paese come noi siamo, in bilico tra protezione ed emarginazione. Quando la pulsione c’era, ed era irresistibile, ondate di emigrati lasciavano il nido, occupavano stamberghe a centinaia o migliaia di chilometri di distanza, affrontavano l’incognito e una misura notevole di sofferenza e isolamento sociale per strappare un salario e sottrarsi alla fame finanziando con le rimesse le famiglie.

Lo sradicamento e la lotta per l’esistenza non sono più l’orizzonte di chi vive una sofferenza sociale. La sofferenza è relativa, c’è ma è tamponata da servizi pubblici in campo sanitario, scolastico e assistenziale che quella pulsione escludono in via di fatto, per non parlare del ruolo di tutela immobilistica della famiglia italiana. Il livello in generale di paghe e stipendi, in molti settori precarizzati, che sono centrali in ogni possibile prospettiva di ripresa del lavoro, è basso, e un sussidio di stato è percepito come competitivo. Dal cespuglio non si esce. Il Rdc è pessimo; è ottimo; è da riformare; non si può riformare poiché alla base di una sua riforma dovrebbero esserci cose, la disponibilità al lavoro in condizioni competitive con il non lavoro sussidiato e l’insieme delle protezioni alla persona, che non ci sono. E’ da credere che resteremo a lungo nel cespuglio, senza sapere come estrarcene.