SCENARIO/ I pm, Monti, Draghi: e se fossimo ancora nella seconda repubblica?

Categoria: Italia

Qualche storico-editorialista paragona Draghi a De Gaulle. Bisognerebbe andarci piano. Quella era la quinta repubblica, noi siamo ancora nella seconda

11.09.2021 - Gianluigi Da Rold ilsussidiario.net lettura5’

L’immaginazione in Italia non manca mai, soprattutto nel mondo della comunicazione, sia in quella classica degli ex “grandi giornali”, sia in quella scalpitante on line, sia in quella dell’avventura tragicomica dei cosiddetti social. L’ultima “scoperta” è il paragone che si sta sviluppando in questi giorni tra la figura e l’opera di Mario Draghi e quella di cui fu protagonista in Francia nel 1958 il generale Charles De Gaulle, dopo la tragedia dell’Algeria.

Chi ha proposto per primo il paragone è uno degli immaginifici storici ed editorialisti del Corriere della Sera, il giornale che dai famosi giorni di Tangentopoli e poi dell’attacco alla “casta” non ne ha azzeccata una in trent’anni. È vero che poi gli immaginifici chiedono qualche volta scusa, oppure ricordano “un periodo di vita difficile”. Ed è pure vero che si può anche cambiare idea.

GREEN PASS/ Non solo le comunali dietro il "messaggio" della Lega a Draghi

Ma fare l’impossibile per cancellare la cosiddetta “prima repubblica”, dopo aver contribuito a farla saltare, e proiettarsi di colpo alla quinta repubblica francese senza averne costruita nessuna, è un po’ troppo.

Infatti il rientro del generale De Gaulle, che si era rifugiato in esilio volontario a Colombey le Deux Eglises, sembra una delle tante spiegazioni sbrigative, tipicamente italiane, che il Paese sta vivendo. Cerchiamo solo di ragionare.

La quarta repubblica francese, pur avendo al suo interno anche notevoli personaggi, viveva una grande confusione politica dovuta alla decolonizzazione, aveva un partito comunista in grado di far girare le scatole persino a Stalin, e in più si avvaleva di generali come Jacques Massu e Raoul Salan, che di certo non si dedicavano alla vaccinazione di massa come il nostro generale degli alpini Francesco Paolo Figliuolo.

Colloquio Draghi-Xi Jinping/ "Italia svolga ruolo attivo in relazioni Cina-Ue"

Il presidente René Coty, quando chiamò De Gaulle, era in una situazione drammatica, forse senza più vie d’uscita.

Ma la morte della quarta repubblica francese non arrivò per via giudiziaria, non esisteva come in Italia una “buca delle lettere” che collegava la Procura della Repubblica di Milano a via Solferino e, anche se ridimensionati e in piena crisi, i partiti francesi si ricostruirono lentamente: da dove sono usciti in seguito uomini come Valery Giscard d’Estaing, François Mitterrand, Jacques Chirac?

Forse (inconsapevolmente s’intende!) si cerca di far passare una delle ultime balle della controstoria italiana, quella del collasso del sistema politico della prima repubblica per cause quasi normali e naturali, dimenticando tutto quello che è realmente avvenuto: un Sessantotto “decennale” unico al mondo; gli anni di piombo; l’azione devastante della magistratura che ha eliminato di fatto cinque partiti democratici e ne ha salvati due (i postcomunisti e i postfascisti); la combinazione mediatico-giudiziaria persino nell’attacco alla casta e nella creazione di una sorta di movimento di liberazione del menga inventato da un comico.

A questo punto quali partiti politici si sarebbe “mangiato” Draghi secondo i nostri analisti di fama nazionale? Nel 1992 ad esempio, non c’era da affrontare il periodo della decolonizzazione, c’erano problemi ben più concreti e piccoli come le privatizzazioni.

Diciamo piuttosto, tanto per cominciare: Draghi era l’unico personaggio, dopo trent’anni di polveroni senza senso, che poteva assicurare, nella grande confusione che vive oggi l’Italia, un minimo di credibilità sul piano internazionale e ridare funzionalità a un governo che non riusciva neppure a reperire le “mascherine” anti-Covid. Insomma, Draghi non poteva essere che l’ultimo tecnocrate dotato di un’esperienza internazionale superiore a quella di un Romano Prodi o di un Mario Monti.

Per amor di verità quindi, i partiti democratici se li sono divorati, a suo tempo e chissà sino a quando, i clan mediatici giudiziari e finanziari. Sarebbe forse questo il Draghi accostato a De Gaulle? Ne dubitiamo.

Cercando di precisare questi fatti si vuole solamente uscire dal solito “pastrocchio” storico italiano, perché alla fine la grande confusione porta solo a fatti imprevedibili.

L’impressione che fa questo paragone forzato tra Draghi e De Gaulle ricorda la considerazione di un grande storico come Rosario Romeo stampata nei suoi Scritti politici (oggi ovviamente introvabili o spariti dalle biblioteche). Diceva Romeo: “Un Paese idealmente separato dal proprio passato, è un Paese in crisi di identità e dunque potenzialmente disponibile, senza valori da cui trarre ispirazione e senza quel sentimento di fiducia in se stesso che nasce dalla coscienza di uno svolgimento coerente in cui il passato si pone come premessa e garanzia per il futuro”. In sostanza Romeo sosteneva che una storia non realmente accaduta e poi propagandata in modo sgangherato, può solo far correre il rischio di avventure di ogni tipo.

Ma per quale ragione, in questo benedetto Paese, al posto di fare paragoni stravaganti o suggestivi non si riesce una volta per tutte a ricostruire dettagliatamente quello che è avvenuto in Italia almeno negli ultimi trent’anni? Perché non si mettono in fila tutte le dichiarazioni di tanti personaggi che hanno straparlato dal 1992 a oggi facendo dichiarazioni deliranti e dimenticando alcune vicende di finanziamenti sovietici di quasi ottant’anni? Perché non si è mai fatta una commissione d’inchiesta su Tangentopoli? Perché non si ricorda da quali ambienti è uscita ed è stata divulgata la “lotta alla casta”? Perché si straparla del debito pubblico degli anni Ottanta e non si parla mai del debito che ha lasciato l’austerity di Mario Monti?

In questo momento c’è bisogno non di chiacchiericcio impreciso, da social, ma di conoscenze e di decisioni precise. Se ne possono elencare alcune: la gestione del Pnrr che durerà fino al 2026 e che solo un personaggio come Draghi può essere in grado di gestire; la necessità di un’autentica riforma costituzionale senza ripetere i soliti luoghi comuni che circolano sui nostri libri di storia; la necessità di un rilancio di Parlamento, di partiti e corpi intermedi che in Italia sembra non esistano più.

Per non correre il rischio di fare un salto nel buio, questa volta occorre riscrivere la storia così come è avvenuta veramente, senza interpretazioni che portano solo a soluzioni di parte.

Quindi sarebbe bene non tanto esercitarsi su paragoni avventurosi, che magari creano anche aspettative, ma considerare il passato degli ultimi anni, correggere e riconoscere gli errori. Ripetiamo: questo è tempo di conoscenza e di decisioni, perché il futuro che ci aspetta ha problemi politici, elettorali, presidenziali e poi di lavoro e di riforme che sono enormi. Lasciamo De Gaulle alla Francia e pensiamo a un Draghi che continui a governare nonostante l’Asilo Mariuccia che si ritrova tutte le volte che si confronta con i partiti e riunisce il Consiglio dei ministri.

Con la speranza che tutti i giochi su Quirinale, repubblica presidenziale o meno, partiti che sembrano aggregazioni fluide, che mutano a ogni elezione ritornino a una funzionalità democratica accettabile e non creino un pandemonio pericoloso.