Il super centro. Draghi sta scompaginando l’assetto tradizionale della politica italiana

Le spaccature interne a partiti (soprattutto Forza Italia e Partito democratico) e alleanze (centrodestra) potrebbero dar vita a un nuovo super-centro, ridefinendo la geografia partitica e forse anche istituzionale

Mario Lavia, 1.10.2021 linkiesta.it lettura3’

Senza scendere direttamente nell’agone politico-partitico, Mario Draghi sta scompaginando i tradizionali poli, o quel po’ di bipolarismo che discende dagli anni ‘90. La nuova dinamica sarà al culmine quando si entrerà nel vivo della corsa al Colle: sarà in quel momento che centrosinistra e centrodestra si guarderanno allo specchio rimirando le rispettive rughe.

Ma vista in prospettiva l’impressione è che i cosiddetti poli andranno rimodellando i loro volti sulla base del giudizio sull’esperienza del governo Draghi. E non è affatto detto che restino due, perché un grande rimescolamento potrebbe dar vita a un nuovo super-centro.

Già lo stiamo vedendo. In fin dei conti, la Lega si divide proprio sul futuro di Draghi e sul proprio grado di affinità con la politica del presidente del Consiglio, divaricandosi platealmente come mai era successo in 25 anni di storia: in quel partito “leninista” il dissenso non è mai stato pienamente ammesso, chi non era d’accordo con Umberto Bossi era gentilmente invitato ad andarsene.

Invece stavolta un grosso calibro come Giancarlo Giorgetti di fatto assume pubblicamente la politica draghiana condita dalla scelta del Partito popolare europeo, con tanti saluti al sovranismo. Tra il ministro e il capo leghista il dado è tratto, e si chiama Mario Draghi. Se mai ci sarà un congresso, sarà di fatto sull’attuale presidente del Consiglio.

Una spaccatura dentro un spaccatura più ampia, che per inciso è da tempo nota anche ai sassi: quella tra Forza Italia e il duo sovranista Salvini-Meloni, la coppia che ieri Silvio Berlusconi ha distrutto con una battuta a Massimo Giannini, poi vanamente smentita dallo staff del Cavaliere: «Se Draghi diventa Presidente della Repubblica poi dà l’incarico a Salvini o alla Meloni? Dai, non scherziamo».

Questo pensa e dice l’uomo di Arcore – il direttore della Stampa ha la registrazione – ed è chiaro che nella contrapposizione tra l’ex presidente della Bce e i due leader sovranisti Berlusconi sta col primo («deve durare»), e nel suo partito tutti hanno capito da che parte stare in caso di conflitto, e non solo i tre ministri “draghiani” Carfagna, Gelmini e Brunetta ma anche i più legati alla Lega capitanati da Tajani. Ed è un’altra piccola faglia.

E, poiché stiamo parlando di divisioni, il discorso non può non riguardare il centrosinistra e in particolare il Partito democratico (praticamente il solo partito dove seppure in modo sotterraneo c’è una discussione, visto che il Movimento 5 stelle è ormai fuori da ogni pensiero che riguardi la strategia politica), dove la questione-Draghi appare e scompare, affidata più a battute estemporanee che a un vero dibattito interno, ma che sarà inevitabile: prima o poi Enrico Letta dovrà decidere se considerare l’esperienza di Draghi come una parentesi o come una prospettiva, e in questo caso, come dargli forma e gambe.

Persino il clamoroso incattivimento del Partito democratico contro Carlo Calenda tradisce il terrore della materializzazione di una nuova offerta politica, peraltro ancora confusa, quella che dal punto di vista parlamentare abbiamo chiamato il super-centro. E che politicamente potrebbe essere il nuovo contenitore draghiano, rimescolando i poli del passato.

Ecco dunque che il susseguirsi di faglie sta dissestando il territorio della politica italiana in un processo di ridefinizione della geografia persino istituzionale. Che potesse essere un uomo in carne e ossa a determinare questo bradisismo politico non era facilmente prevedibile. Ma, mentre si parla più o meno a proposito di un nuovo De Gaulle, è certo che Mario Draghi può essere la figura che chiude una fase storica e ne apre un’altra, tutta da scrivere.

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