Abolire l'immunità è stato un grave errore. Si è indebolita la politica"

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Il costituzionalista: "Perso il bilanciamento tra i poteri. La magistratura ha sconfinato"

11.10. 2021 – Stefano Zurlo ilgiornale,it lettura3’

"Abolire l'immunità è stato un grave errore. Si è indebolita la politica"

È inutile girarci intorno: «Abolire l'autorizzazione a procedere per i parlamentari è stato un grave errore». Alfonso Celotto, costituzionalista, professore a Roma Tre, rilancia il dibattito sull'articolo 68 della Carta fondamentale, aperto dall'editoriale del direttore del Giornale Augusto Minzolini.

Professor Celotto, l'immunità è stata ridisegnata e in parte eliminata nel 1993 sull'onda di Tangentopoli. Uno sbaglio?

«Sì: è la controprova che le riforme non si fanno sulla base di emozioni, come dire, di corsa».

L'opinione pubblica era indignata: troppi no alle richieste dei magistrati. Si doveva far finta di niente?

«No, non è questo il punto».

Ma Craxi, Andreotti e tutti gli altri protagonisti di scandali veri o presunti?

«Nessuno nega che quello scudo fosse diventato o fosse percepito come un privilegio, quasi come un salvacondotto, ma l'intervento del legislatore ha fatto saltare l'equilibrio, il delicato bilanciamento di poteri cui avevano lavorato i Costituenti. Prima avevamo insindacabilità parlamentare e autorizzazione a procedere, come duplice forma di garanzia. Poi dal 1993 tutto si è spostato sulla insindacabilità e da allora è stato un tira e molla da una parte e dall'altra, ma quel rispetto reciproco fra poteri è andato perduto. Quindi io credo che si debba tornare all'articolo 68 così come era nato nel 1948».

Facciamo un passo indietro. Come nasce l'articolo 68?

«Nasce per tutelare il parlamentare che dev'essere libero, più libero di un cittadino qualunque nell'esercizio delle sue funzioni. Il politico, per esempio, deve avere la garanzia di poter dire quello che pensa fino in fondo, senza la paura di essere attaccato per aver puntato il dito contro questo o quel potente o potere».

Ok, ma se parliamo di corruzione o peculato?

«È chiaro che se il parlamentare viene indagato per un reato comune dev'essere processato e, nel caso, condannato. Ma le cose non sono così semplici».

Cosa è accaduto in concreto dal '93 in poi?

«Per dirla brutalmente, la magistratura ha sconfinato e la politica, sempre più debole, è finita alla gogna. Si sono persi i binari del bilanciamento, quelli di cui parlavo prima, e ci sono state esagerazioni, manipolazioni, sentenze contraddittorie della magistratura sui confini dell'insindacabilità»

Un caos?

«Un caos, ma anche un'ulteriore perdita di autorevolezza dei nostri deputati e senatori. Oggi la magistratura non può arrestare un parlamentare e nemmeno intercettarlo, ma lo mette sotto processo e quello rimane per anni esposto ai venti degli avvisi di garanzia, degli articoli di giornale, degli spifferi processuali. Perché il dialogo sarà pure coperto dall'immunità, ma intanto esce questa o quella frase, captata nell'interlocuzione con un cittadino comune. Il politico non può essere ascoltato, ma il signor Rossi sì. E così si viene a sapere pure quello che ha detto o fatto il solito parlamentare»

Risultato?

«Il risultato è che magari si viene assolti dopo anni e una sfilza di dibattimenti, come è capitato a Bassolino, uscito innocente da una selva di imputazioni, ma anche ad altri».

Non solo: si potrebbe dire che siano stati riabilitati interi periodi storici.

«Se prendiamo la trattativa Stato-mafia, vediamo una raffica di assoluzioni. Ma si potrebbe andare anche oltre».

La trattativa potrebbe essere coperta dall'immunità?

«È un tema delicato che non può essere affrontato in modo ideologico. Però in determinati ambiti storici e politici si può anche pensare che uno Stato arrivi a trattare con la malavita, come si dice accadde nel 1943 anche con gli americani e la mafia siciliana per la liberazione del sud. Anche in casi così estremi ci possono essere margini di apprezzamento politico che deve valutare il parlamento in sede di autorizzazione a procedere, prima di far operare la magistratura. Senza scandali».

Alcuni temi non possono essere pesati solo col metro del codice penale?

«Esatto. Vittorio Emanuele Orlando, uno dei più grandi giuristi della nostra storia, in Assemblea costituente spiegò che da presidente del consiglio aveva dovuto usare fondi extrabilancio per restaurare il Maschio Angioino. Serve una forma di prerogativa della politica, bilanciata e ragionata».

Ma allora nel 1993 fu una riforma sbagliata?

«È sempre sbagliato fare riforma sull'onda di fatti si cronaca. Le riforme fatte di volata, magari per avvantaggiare una parte, non vanno lontano: è accaduto col titolo quinto nel 2001, è successo con l'articolo 68 nel 1993. Ma anche con l'art. 79 per amnistia e indulto. Tutti istituti che dopo la riforma hanno funzionato peggio del testo originario. Io credo che dobbiamo tornare allo spirito dei costituenti, anche per la disciplina dell'immunità».