Caro Letta. Se la democrazia è in pericolo, non ci si gioca il suo destino in una partita a dadi

Categoria: Italia

Le cose sono due: o la destra è pienamente affidabile, ragion per cui non c’è motivo di temere una competizione bipolare (e allora abbassate i toni), oppure non lo è (e allora alzate gli argini)

Francesco Cundari, 12.10.2021 linkiesta.it letttura3’

Una volta terminata la meritoria battaglia per mettere al bando gli apologeti del regime fascista che un secolo fa tolse la libertà agli italiani – con bastoni e pugnali, e con il carcere per gli oppositori, mica con il green pass – il Partito democratico potrebbe utilmente preoccuparsi di come sbarrare la strada non solo alle minacce autoritarie del passato, ma anche a quella del presente. O quantomeno provare a non spianargliela. Ne va anche della credibilità della battaglia antifascista così solennemente ingaggiata in questi giorni.

Se infatti le parole dei dirigenti del Pd sono sincere, se nella polemica sulle troppe ambiguità della destra sovranista non c’è altro, da parte loro, che una genuina preoccupazione per la tenuta democratica del paese, allora non si capisce cosa aspettino a correre ai ripari, a cercare in ogni modo di mettere al sicuro l’equilibrio e il bilanciamento dei poteri da qualunque esito elettorale.

Non era questo che ci avevano promesso, del resto, al momento di rimangiarsi anche la sacrosanta battaglia contro il taglio populista dei parlamentari? Non avevano assicurato che avrebbero chiesto come garanzia una legge elettorale proporzionale, senza coalizioni precostituite prima del voto, così da mettere le autorità di controllo, le massime istituzioni e la stessa Costituzione al riparo da qualunque spoil system?

Da tempo sembra che Enrico Letta abbia deciso di percorrere invece la strada opposta, rilanciando un bipolarismo di coalizione che vedrebbe da una parte un centrosinistra allargato fino al Movimento 5 stelle e a Giuseppe Conte (definito ieri alleato addirittura «imprescindibile»), dall’altro un centrodestra inevitabilmente egemonizzato da Giorgia Meloni e Matteo Salvini, forse nella convinzione che un avversario più estremista possa essere più facilmente battibile. In ogni caso, un azzardo sulla pelle di tutti noi.

Ma soprattutto una prova di cinismo che rende assai difficile prendere sul serio i dirigenti del Pd quando fanno la faccia preoccupata per le sorti della democrazia, dopo aver deciso di giocarsene il futuro in una partita a lascia o raddoppia, in nome dello spirito del maggioritario, del «Nuovo Ulivo» e di tutti gli altri vecchissimi slogan di una stagione assai più ricca di sconfitte che di vittorie, dalla quale evidentemente hanno imparato ben poco.

Insomma, cari democratici, le cose sono due: o la destra è pienamente affidabile, ragion per cui non c’è motivo di temere una competizione bipolare (e allora abbassate i toni), oppure non lo è (e allora alzate gli argini).

Certo, agli argini si sarebbe dovuto pensare prima, e adesso non è detto che sia possibile, che si trovino i numeri e le convergenze necessarie. Intendiamoci, non è nemmeno escluso, perché l’idea di consegnare i pieni poteri a Meloni e a Fratelli d’Italia non turba soltanto i dirigenti dei partiti di sinistra. Una cosa però è sicura: se non ci si prova nemmeno, non ci si riuscirà mai.