Domanda e offerta di lavoro: un incontro difficile. Posti di lavoro che rimangono vacanti

Categoria: Italia

Disoccupazione diffusa e imprese che non trovano lavoratori. È un fenomeno che in Italia si manifesta da tempo, forse determinato in parte da un salto di qualità dell’industria, che ora cerca competenze più alte. I rischi per gli obiettivi del Pnrr.

DI ANDREA GARNERO E MASSIMO TADDEI IL 26/11/2021 lavoce.info

In un paese con 2,3 milioni di disoccupati e 13,5 milioni di inattivi è mai possibile che un’impresa che cerca un lavoratore non lo trovi? E c’è qualche legame con l’aumento delle dimissioni che si registra anche nel nostro paese? La risposta è sì a entrambe le domande.

Partiamo dalla prima. Innanzitutto, quanti sono davvero i posti di lavoro che le imprese italiane non riescono a riempire? Sui giornali circolano vari numeri, non sempre coerenti e confrontabili tra loro (su questo sito se n’era già occupato Francesco Giubileo). Da una parte abbiamo i dati Istat sui posti vacanti, che possono essere considerati come una sorta di margine inferiore, i posti effettivamente pubblicati e che rimangono aperti. La stessa Istat produce, poi, stime sulle imprese manifatturiere che a causa di scarsità della manodopera non riescono a produrre quanto vorrebbero. Infine, il Bollettino Excelsior realizzato da Unioncamere e Anpal, che registra le intenzioni di assunzione da parte delle imprese e le difficoltà previste nell’individuazione di profili idonei. I due ultimi dati riflettono, quindi, la percezione delle imprese e, al netto di una possibile sovrastima da parte dei datori di lavoro, possono essere interpretati come un margine superiore, che, oltre ai posti che effettivamente rimangono scoperti, include anche quelle posizioni che le imprese nemmeno aprono perché “scoraggiate”.

Se prendiamo le stime più conservative, cioè il tasso di posti vacanti Istat, che registra le ricerche di personale formalmente iniziate e non ancora concluse, vediamo effettivamente un aumento nel secondo trimestre confermato, poi, nel terzo trimestre (in realtà, il tasso di posti vacanti riflette i posti scoperti nell’ultimo giorno del trimestre, quindi 30 giugno e 30 settembre). Un tasso di posti vacanti dell’1,8 per cento corrisponde a circa 400 mila posti aperti, un livello non così elevato se comparato a quello di altri paesi, ma il più alto dal 2016, quando inizia la serie che copre il totale delle imprese (figura 1a). A livello settoriale, gli aumenti più rilevanti si sono registrati nelle attività professionali, scientifiche e tecniche, le cui posizioni lavorative sono di solito ad alto tasso di capitale umano (per esempio di professionisti nell’ambito legale, contabile, della ricerca e sviluppo o del marketing), o il settore del noleggio, agenzie viaggio e servizi alle imprese. Meno nei servizi di alloggio e ristorazione che, invece, erano al centro della discussione estiva (figura 1b). Sono soprattutto le piccole imprese ad aver difficoltà a trovare manodopera: il tasso di posti vacanti per quelle con 10 dipendenti e più scende all’1,4 per cento.

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Il fenomeno delle dimissioni

C’è un legame tra posti vacanti e dimissioni? È ragionevole pensare che maggiori opportunità lavorative rendano le persone più sicure nel lasciare il proprio posto e, viceversa, che di fronte a un aumento delle dimissioni, le imprese debbano cercare un sostituto.

Nella figura 2a vediamo una correlazione positiva tra posti vacanti e dimissioni, la stessa che si può osservare in altri paesi (per esempio, Regno Unito o Stati Uniti), e il dato per il secondo trimestre non sembra un valore anomalo (non si discosta dalla relazione degli anni precedenti). Il tasso di dimissioni non appare anomalo nemmeno se confrontato con quello di disoccupazione (dove la relazione, invece, è negativa, figura 2b). La “Great Resignation” italiana, l’aumento di dimissioni, sembra quindi semplicemente il riflesso di un mercato più dinamico (a cui non siamo abituati), insieme a un po’ di recupero sulle dimissioni non date nel 2020. Non appare quindi come una fase di forte ripensamento del valore del lavoro e delle priorità di vita.

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Le ragioni delle difficoltà delle imprese

Posti vacanti e dimissioni in aumento possono essere interpretati come due facce di una fase di forte rimbalzo (o crescita) dopo una grave caduta, con conseguente chiusura e riapertura di posti. Ma, se allarghiamo lo sguardo, ciò che preoccupa è l’aumento “strutturale” della difficoltà delle imprese a trovare manodopera adeguata. In qualunque paese è normale che ci siano posti vacanti anche se ci sono persone disposte a lavorare: quello del lavoro non è un mercato perfetto dove la domanda incontra immediatamente l’offerta, ma ci sono “frizioni” che rallentano o addirittura impediscono il buon esito della ricerca.

In generale, è più facile per le imprese trovare personale quando il numero di persone che cerca lavoro è elevato, mentre è più difficile quando la disoccupazione è più bassa. La relazione (inversa) tra tasso di posti vacanti e tasso di disoccupazione è la cosiddetta curva di Beveridge, che dà una misura dell’efficienza del mercato del lavoro: più la curva si sposta in basso a sinistra, cioè bassa disoccupazione e pochi posti vacanti, più il mercato è efficiente; invece, più la curva si sposta in alto a destra, cioè la disoccupazione sale e i posti vacanti pure, meno il mercato del lavoro è efficiente.

Osservando la curva di Beveridge per l’Italia (in questo caso, abbiamo preso il tasso di posti vacanti calcolato solo sulle imprese con più di 10 dipendenti, che è disponibile lungo un orizzonte temporale più lungo), si nota come la nostra economia abbia perso efficienza nel far incontrare domanda e offerta già da diversi anni (ben prima che venisse introdotto il reddito di cittadinanza, per dire). Rispetto al 2010-2013 (etichette verdi), dal 2014-2015 (etichette gialle nella figura 3), a parità di tasso di disoccupazione, il tasso di posti vacanti è aumentato. Non siamo in grado al momento di individuare le cause di questo salto. Un’ipotesi possibile è che la crisi finanziaria e dei debiti sovrani, la concorrenza internazionale e incentivi come Industria 4.0 abbiano modificato in parte la struttura industriale e quindi la domanda di competenze da parte delle imprese italiane, cui, però, non ha fatto seguito l’offerta.

Certo è che se l’“inefficienza” nell’incontro tra domanda e offerta di lavoro fosse destinata a perdurare (e magari a crescere con la transizione verde e digitale), la realizzazione degli ambiziosi piani di investimento del Piano nazionale di ripresa e resilienza sarebbe a rischio.

Figura 3 – Curva di Beveridge per l’Italia, primo trimestre 2010 – terzo trimestre 2021

Fonte: elaborazione degli autori su dati Istat.

Figure e diagrammi nel sito lavoce.info