Chi era Gianni De Michelis, visionario oltremisura ma concreto

Categoria: Italia

De Michelis è stato un grande personaggio della politica italiana ed estera, un dirigente socialista e uno statista, il che «è dimostrato – scrive Giuliano Amato – da tutto ciò che venne facendo nei diversi incarichi di governo assolti nel corso della sua carriera politica

Biagio Marzo — 28.11. 2021 ilriformista.it lett4'

Gli amici di sempre hanno ricordato Gianni De Michelis, nel giorno del suo compleanno – 26 novembre 1940 – con la proiezione di un film, presso il Circolo dei Socialisti della Garbatella, grazie alla collaborazione dell’Associazione culturale Forum Terzo Millennio e dell’XI Municipio di Roma. De Michelis è stato un grande personaggio della politica italiana ed estera, un dirigente socialista e uno statista, il che «è dimostrato – scrive Giuliano Amato – da tutto ciò che venne facendo nei diversi incarichi di governo assolti nel corso della sua carriera politica». Quale fu il suo “assalto al cielo”? Il riformismo tout court. Visionario oltremisura, ma, al contrario dei comunardi, concreto e per uno Stato moderno.

 

 

Mi riferisco soprattutto alla vicenda del taglio dei tre punti della scala mobile nel periodo in cui, da ministro del Lavoro, si trovò di fronte a una inflazione sudamericana a due cifre che determinava una situazione in cui si era innescata una spirale prezzi-salari-prezzi che danneggiava fortemente i lavoratori dipendenti. D’altronde, il campanello d’allarme fu suonato, anni prima, dal Centro studi della Cgil, presieduto allora da Giuliano Amato e Bruno Trentin, che mise in luce la seconda vittima della scala mobile: il potere negoziale del sindacato. Nel momento in cui l’aumento automatico dei salari si era mangiato tutto e per le Organizzazioni sindacali non c’era più alcun margine di trattativa, De Michelis intese portare in porto la politica dei redditi, a quei tempi molto divisiva a sinistra e non solo. Ragion per cui, far scendere l’inflazione a una cifra era un passaggio cruciale per realizzarla.

La politica dei redditi, in quegli anni, veniva vista in modo ostile e stupido e interpretata come azione di controllo e di blocco dei salari. Al contrario, De Michelis la interpretava come una sorta di via di sviluppo economico.

Non fu solo e soltanto il Ministro del taglio dei punti della scala mobile, fu il Ministro delle Partecipazioni statali che scrisse il “Libro bianco” in cui sottopose il sistema in un inedito check up. Ebbe il coraggio di parlare senza peli sulla lingua agli operai: le imprese decotte non c’era alcuna ragione tenerle in vita. A Bagnoli, nello stupore dei lavoratori, chiese la chiusura dell’obsoleta acciaieria. Scoppiò un putiferio, alla lunga, ebbe ragione, lo stabilimento fu smobilitato. Fu un ostinato sostenitore della sprovincializzazione della politica, tant’è che portò dagli USA in Italia l’Aspen Istitute. Sognò senza successo l’Expo a Venezia e i Pink Floyd a Piazza San Marco. Il Mose, per fermare l’acqua alta, nella città lagunare, fu una sua idea e il tempo fu galantuomo. In politica estera, fu per la via danubiana in cui Venezia diventava il centro motore di quella politica.

Ma veniamo al dunque: fu per la politically incorrect e un ostinato ottimista: i riformisti hanno un atteggiamento sia contrario al pessimismo rinunciatario dei conservatori sia contrario all’ottimismo facilone dei massimalisti. Chiaramente, era consapevole che il modo di essere dei riformisti non realizza una società perfetta perché solo Dio, direbbero i cristiani, è perfetto. Grazie anche al suo contributo, il riformismo adesso è di grande attualità, avendo una concezione tesa a far vivere meglio e diversamente la gente in carne e ossa. Consapevole che l’effetto riformista porta a restringere la forbice delle diseguaglianze con l’idea di cambiare in modo gradualista la società tenendo unite le libertà, lo Stato di diritto, i meriti e la giustizia sociale. Tuttavia, per De Michelis, il riformismo, con il suo tratto diacritico della sinistra di governo, non permette salti dialettici della realtà esistente e, in tal senso, va per gradi senza fare salti nel vuoto.

Infatti, “natura non facit saltus”. Partendo da questo “spirito”, nella sua azione di governo mise in campo degli “elementi” migliorativi. Scontato che i riformisti preferiscono il poco al tutto, il realizzabile alle chiacchiere da bottega, il gradualismo al tanto peggio tanto meglio. Di fronte al muro delle ideologie dogmatiche, solo a sentirle gli veniva l’orticaria, il miglior antidoto era il revisionismo che si staglia nel riformismo. Già, negli anni Ottanta, vedeva nel rinsavimento della sinistra di governo, l’epurazione dal massimalismo e dal populismo, i mali endemici di questi tempi malvagi. Ciò detto, non significa che i riformisti possano essere considerati dei rammendatori del sistema, e aggiungeva a questa definizione, la derisione a cui questi venivano sottoposti dalla destra mercatista, la quale ritiene che il “mercato miracoloso” risolva tutto. Di conseguenza, per Gianni De Michelis non erano da meno “i riformisti da lotta di classe”, di fatto un ossimoro, che hanno come obiettivo la costruzione di una società in una ottica diciamo comunista per via parlamentare, rispetto al discorso rivoluzionario classico. Insomma, un mix di Eduard Bernstein e Karl Marx.

Beninteso, l’idea forte del leader veneziano è che il riformismo si conquista con il consenso dei cittadini. Il contrario di quello visto, negli ultimi decenni di governi di centrosinistra. Insomma, le riforme approvate sono una sorta di reformatio in peius, calate dall’alto o di tipo tecnocratico. Nell’accezione storica e politica più nobile e pragmatica, il riformismo non era altro che – per Gianni De Michelis – il sinonimo di socialismo. In questo solco si mosse, contribuendo anche lui a fare degli anni Ottanta, “ il decennio della modernità italiana”.

Biagio Marzo