Prima la proporzionale. Consigli a Salvini per fare il king maker del Quirinale e il padre delle riforme

Categoria: Italia

Da mesi il leader della Lega sbaglia le scelte politiche. Invece di inseguire le strategie altrui per una volta potrebbe anticipare gli altri e togliersi finalmente i panni dell’eterno caudillo. Come? Rilanciando la proposta di una nuova legge elettorale senza premi di maggioranza che metta in sicurezza il sistema da qualunque tentazione autoritaria

Francesco Cundari, 2.12.2021 linkiesta.it lettura4’

Da quando, alle elezioni europee del 2019, Matteo Salvini portò la Lega a uno stratosferico 34 per cento, non si può dire che le abbia azzeccate tutte. Va detto che quando divenne segretario, nel 2013, il partito agonizzava al 4 per cento, fiaccato da scandali e insuccessi di ogni tipo, e sembrava ormai moribondo. Già il 17 per cento raggiunto alle politiche del 2018 poteva essere considerato un miracolo. Sta di fatto che dopo il picco dell’anno successivo, o per essere più precisi dopo la folle estate del Papeete, quando s’illuse di poter ottenere il voto anticipato, andare subito all’incasso e fare cappotto, il leader della Lega non ha perso solo voti. Ha perso la bussola.

Si è fatto mettere nel sacco da Giuseppe Conte, che proprio contro di lui ha imbroccato il migliore discorso della sua vita, mettendogli una mano sulla spalla e sbeffeggiandolo davanti all’intero Parlamento, per poi sostituirlo con il Partito democratico in maggioranza e riprendere felicemente la sua spensierata navigazione. Si è fatto giocare da Matteo Renzi, per due volte, prima con la decisione a sorpresa di sostenere un secondo governo Conte, poi provocandone la crisi, ma pilotandola ben lontano dalle elezioni anticipate. Il più lontano possibile, direi, con quel governo Draghi che alla fine lo stesso Salvini si è convinto ad appoggiare di malavoglia. Talmente di malavoglia da illudersi di potersene fare beffe, come aveva fatto con Luigi Di Maio per tutto il primo governo Conte, giocando a fare al tempo stesso la maggioranza e l’opposizione.

È chiaro che solo un politico fiaccato da troppi rovesci inattesi poteva scambiare Mario Draghi per Conte o Di Maio. Quanto l’errore di calcolo sia stato fatale, in ogni caso, è evidente dal numero delle umilianti marce indietro che gli sono state imposte, non solo dalla fermezza di Draghi, ad esempio sul green pass, ma anche dal suo stesso partito. Dove ormai l’esasperazione per l’incredibile compagnia di zuzzurelloni di cui il Capitano si è circondato è arrivato oltre l’orlo della crisi di nervi, se è vero, come raccontano i giornali, che già in un paio di casi la maggioranza razionale dei parlamentari del gruppo è quasi venuta alle mani con la rumorissima minoranza no vax (la quale ha fin qui potuto contare sull’attiva complicità del segretario).

Il tentativo di tenere un piede al governo e l’altro fuori, in una sorta di impossibile equidistanza tra Giancarlo Giorgetti e Claudio Borghi, si è dimostrato doppiamente fallimentare. Perché i ragionevoli si sono naturalmente orientati verso Forza Italia, che ha recuperato un’insperata centralità e persino qualche voto, mentre gli altri hanno continuato a ingrossare le file di Fratelli d’Italia.

Nella contesa con Giorgia Meloni per la leadership nel centrodestra, poi, dire che Salvini le abbia sbagliate tutte sarebbe un eufemismo. Da ultimissimo con la bizzarra idea, proprio mentre si trova a sostenere un governo di unità nazionale guidato dall’ex presidente della Banca centrale europea, di promuovere un nuovo gruppo nazionalpopulista in Europa, da Marine Le Pen a Viktor Orbán. Il fatto che l’operazione sia andata in fumo è persino un dettaglio minore, sebbene certo un dettaglio gustoso: i nazionalpopulisti polacchi che Salvini voleva sfilare al gruppo di Meloni, alla fine, sono rimasti con Meloni.

Se ricordo tutta questa incredibile serie di infortuni, sia chiaro, non è per il gusto di infierire su un leader che evidentemente sta attraversando un momento sfortunato (per quanto, obiettivamente, piuttosto lungo). Al contrario, è per dargli un consiglio (lo so, lo so, come captatio benevolentiae potevo fare di meglio, ma quella parte non è mai stata il mio forte).

Il punto è che proprio l’interminabile serie di fiaschi qui sommariamente riassunta indica che c’è un problema di fondo. Evidentemente non può trattarsi di una sfilza di sfortunate coincidenze, ma nemmeno si può pensare che un leader capace di rivitalizzare un partito moribondo e portarlo in pochi anni dal 4 al 34 per cento diventi improvvisamente negato per la politica.

C’è infatti una costante in tanti insuccessi, cominciati l’estate in cui Salvini ebbe la bella idea di invocare «i pieni poteri». Ed è appunto la tentazione di fare cappotto, l’idea di prendersi tutto il cucuzzaro, e di non dover fare nulla per nasconderlo. Una pulsione che ha suscitato potenti reazioni di rigetto.

Lo stallo in cui siamo, sul Quirinale e quindi su tutto il resto, è la diretta conseguenza di questa situazione. Così abbiamo da un lato un equilibrio delle forze, dal punto di vista parlamentare, quasi perfetto, che dunque costringerebbe a cercare un’intesa tra gli schieramenti; dall’altro una polarizzazione che il governo Draghi ha solo parzialmente nascosto, tra una destra populista ancora decisa a prendersi «i pieni poteri» e un ampio arco di forze, non solo di centrosinistra, deciso a impedirglielo a ogni costo.

Se Salvini vuole continuare a tentare la spallata come ha fatto fin qui, dunque, sappia che finirà esattamente com’è finita fin qui: nel migliore dei casi (migliore per lui, s’intende), si accorgerà ancora una volta di aver lavorato per Giorgia Meloni; nel peggiore, per Enrico Letta. Chi glielo fa fare?

Ecco dunque il consiglio, certo non da amico, ma da osservatore piuttosto preoccupato dal comportamento di tutti i giocatori in campo: sia lui a rilanciare la proposta di una nuova legge elettorale proporzionale (senza premi di maggioranza, senza trucchi e senza inganni) che metta in sicurezza una volta per tutte il sistema – tanto più dopo il taglio dei seggi – da qualunque tentazione più o meno autoritaria, in modo che ciascuno possa sentirsi garantito, come nel 1948, dal fatto che il vincitore non abuserà dei suoi poteri.

Le sfide della ricostruzione che abbiamo davanti non sono meno ardue di quelle di allora, e per vincerle serviranno altrettanta concordia e unità. L’uomo del Papeete ha l’occasione di togliersi il costume da caudillo una volta per tutte, indossando i ben più autorevoli panni del king maker per il Quirinale e del padre delle riforme per la fine della legislatura. Ma deve coglierla adesso.