Agenda Titanic. Il Pd non ripeta con Draghi l’errore fatto con Monti

Categoria: Italia

Si moltiplicano voci e retroscena su uno schema che vedrebbe l’attuale premier salire al Quirinale e lasciare la guida dell’esecutivo al ministro Franco. Una strategia che non promette niente di buono, né per i democratici, né per l’Italia

Francesco Cundari3.12.2021 linkiesta.it lett3’

Si moltiplicano voci e retroscena su uno schema che vedrebbe l’attuale premier salire al Quirinale e lasciare la guida dell’esecutivo al ministro Franco. Una strategia che non promette niente di buono, né per i democratici, né per l’Italia

Secondo Repubblica Luigi Di Maio avrebbe confidato a imprecisati interlocutori internazionali che Mario Draghi sarebbe intenzionato a cedere il posto di presidente del Consiglio all’attuale ministro dell’Economia, Daniele Franco, evidentemente con l’obiettivo di trasferirsi al Quirinale.

al Foglio Tommaso Nannicini, senatore del Pd, partito ufficialmente schierato per la permanenza di Draghi alla guida del governo, dichiara che l’attuale presidente del Consiglio «sarebbe un candidato perfetto per il Quirinale, aggiunge che a Palazzo Chigi potrebbe sostituirlo benissimo Enrico Letta e che chi vuole Draghi ancora alla guida dell’esecutivo e poi «rende la vita difficile al governo con mille veti e bandierine» gli sembra «un po’ ipocrita».

Tralascio la questione dell’ipocrisia, perché mi pare il dibattito ne sia già abbondantemente fornito. L’idea però che un governo di emergenza e unità nazionale possa essere guidato non solo da un esponente di uno dei partiti della maggioranza, che già sarebbe complicato, ma addirittura dal leader di uno di questi, o è uno scherzo o è una formula retorica per non dire quello che si pensa veramente. A meno di non voler prendere sul serio l’ipotesi che Matteo Salvini accetti di sostenere un governo guidato dal suo principale avversario politico, persino in campagna elettorale. Mi sembra chiedere un po’ troppo, obiettivamente.

Forse però il vero desiderio dell’attuale vertice del Pd è proprio questo: spingere Salvini fuori dalla maggioranza, pensando così di acquisire una posizione di vantaggio in campagna elettorale, per ereditare i consensi di Draghi. Suona familiare?

Dovrebbe. Perché è la stessa brillante strategia seguita dal Pd di Pier Luigi Bersani con il governo Monti.

È vero che la politica del governo Draghi è per molti versi l’opposto di quella di Monti, e prevedibilmente più popolare anche nel medio periodo (non solo per merito dell’attuale presidente del Consiglio, a essere onesti, ma anzitutto per il cambiamento intervenuto nel frattempo nelle politiche europee, con il passaggio dalla linea dell’austerità alla linea del recovery fund). Ma è assai dubbio che l’esito, per il Pd, possa essere molto diverso. Tanto più se da domani a guidare l’esecutivo non fosse più Draghi, con tutto il capitale di consensi e credibilità di cui gode, ma il ministro Franco.

In tal caso, è difficile immaginare che la maggioranza reggerebbe più di qualche mese. E comunque si può scommettere che in campagna elettorale il centrodestra ripeterebbe esattamente la stessa operazione brillantemente realizzata nel 2013, sfilandosi all’ultimo istante e presentandosi alle urne come l’unica opposizione.

Tra 2011 e 2013, gli ultra-riformisti amavano ripetere che il Pd doveva fare propria l’«agenda Monti», e si è visto come è finita. Fino a oggi in molti, con migliori argomenti, tanto nel Pd quanto sulla stampa (e anche su queste pagine), hanno sostenuto che dovesse far propria l’«agenda Draghi». Al netto del gusto per un’espressione che in italiano mi ha sempre fatto pensare più a regali di Natale aziendali che a grandi strategie politiche, qualcuno pensa davvero che possa essere politicamente redditizio, per la sinistra, andare alle elezioni dietro la bandiera dell’«agenda Franco»?

Se poi il ragionamento fosse qualcosa di simile a quanto teorizzato da Giancarlo Giorgetti con quell’idea del «semipresidenzialismo di fatto», dispiace dirlo, ma si tratterebbe di un’operazione tanto sbagliata in linea di principio quanto velleitaria dal punto di vista pratico.

Sbagliata in linea di principio, perché contraria alla lettera non meno che allo spirito della Costituzione, e più precisamente allo spirito con cui il ruolo del capo dello Stato è stato pensato e interpretato dalla nascita della Repubblica in poi. Velleitario dal punto di vista pratico perché Franco non è Draghi, e perché lo stesso Draghi non sarebbe più Draghi, dopo avere abbandonato la guida del governo nel pieno dell’emergenza che era stato chiamato ad affrontare, allo scopo di traslocare al Quirinale.