Un semipresidenzialismo a Costituzione invariata. Con Draghi al Quirinale

Categoria: Italia

Di fronte alla frammentazione e alla contrapposizione di velleità impotenti il miglior piano A è mettere in sicurezza l’Italia e la massima istituzione

24 Gennaio 2022, Huffpost Claudio Martelli

Nella sua ultima intervista Francesco Forte con il consueto, acuto, realismo disapprovava l’ipotesi che Draghi lasciasse la guida del governo che presiede per ascendere al Quirinale. A differenza di quel che il premier ha detto nella sua conferenza di fine anno, secondo Forte, gli obiettivi economici e di riforme che si era dato non sono stati tutti raggiunti e la pandemia non appare ancora domata. E dopo aver aggiunto che la situazione e le previsioni economiche troppo incerte, gli allarmanti dati sull’inflazione, sulla penuria di materie prime (i microprocessori), sui rincari dell’energia, sul debito pubblico, concludeva che in queste condizioni il capitano non può abbandonare la nave cioè la guida del Governo. Non credo che Francesco abbia scritto quel che ha scritto per solidarietà con Berlusconi candidato: le sue preoccupazioni erano giustificate e anch’io le condividevo ben prima che Berlusconi si candidasse. Tuttavia, più passa il tempo più la confusione e il subbuglio tra i partiti e nei partiti aumentano, mentre il vincolo che doveva tenere uniti i partiti della maggioranza di Governo si sta sfilacciando e traballano anche le alleanze di centrodestra e di centrosinistra. Senza la bussola della responsabilità nazionale ciascun partito sembra perseguire un proprio sottodisegno e tra tanti piani B non emerge un piano A con il rischio di un logoramento delle istituzioni e anche dei partiti alla fine del quale ci sarebbero solo elezioni anticipate in un clima rissoso.

La preoccupazione che anch’io ho nutrito ruotava intorno a questo interrogativo: se Draghi lascia Palazzo Chigi e va al Quirinale che ne sarà del Governo del Paese?

Ormai però, di fronte ai crescenti segnali di frammentazione e di contrapposizione di velleità impotenti mi vado convincendo che il miglior piano A è quello di cominciare col mettere in sicurezza l’Italia e la massima istituzione eleggendo Draghi al Quirinale. A quel punto spetterà al presidente che ha già dato prova di saper promuovere l’unità nazionale e di disporre della massima credibilità internazionale di agire in coerenza per concludere al meglio la legislatura. Al meglio significa tante cose: un programma che consolidi e completi quello in corso aggiornandolo ai mutamenti intervenuti e alle tendenze prevedibili nello scenario economico e politico internazionale. Significa incaricare un presidente del Consiglio, preferibilmente un parlamentare, in grado di comporre una maggioranza solida; significa nominare su proposta dell’incaricato un Governo di ministri - politici e tecnici - rinnovato nei dicasteri in cui è bene cambiare. Forse è l’ultima occasione per questi partiti e per questi politici di svolgere il loro ruolo che è quello costituzionale di “concorrere alla formazione della volontà popolare” nel solo modo giusto e degno: quello di farsi guidare dal dovere della responsabilità. Forse è l’ultima possibilità per le istituzioni per un rinnovamento pragmatico, senza traumi, senza rotture.

Non a caso in questo frangente da più parti si è evocato il semipresidenzialismo: se con esso si intende il modello francese di un presidente eletto dal popolo e con poteri di Governo allora è necessaria una grande riforma della Costituzione per la quale non c’è tempo. “Se invece si intende che è il presidente della Repubblica a scegliere il presidente del Consiglio, dando così vita a un Governo del presidente” siamo perfettamente dentro i limiti, cioè alla lettera e allo spirito della Costituzione vigente e non c’è bisogno di cambiare nulla, semmai, appunto, di “tornare alla Carta”. In concreto si tratta di proseguire lungo la rotta tracciata da Mattarella quando ha dato l’incarico a Draghi e ha esercitato la sua moral suasion per convincere le forze politiche a sostenerlo.

La Costituzione assegna poteri e indirizzi politici fondamentali al presidente eletto per sette anni dall’assemblea congiunta di senatori, deputati e delegati regionali proprio perché disponga di un potere superiore, più largamente fondato e più duraturo di quello di qualunque Governo. Questo potere superiore si manifesta per esempio con l’ esercizio effettivo della Presidenza del Consiglio supremo di difesa e di sicurezza nazionale e del Consiglio superiore della magistratura; con il rigoroso vaglio di ratifica o di rinvio alle Camere delle leggi votate dal Parlamento e delle stesse proposte di nomina dei ministri. Su tutti questi poteri e prerogative si staglia la decisiva facoltà del presidente di sciogliere le Camere e indire nuove elezioni.

Come detto, questo semipresidenzialismo a Costituzione invariata, deriva dall’assemblea congiunta dei due rami del Parlamento e dei delegati regionali e il suo esercizio può, in questa fase, mediare tra le spinte sempre più forti al presidenzialismo pieno e le opposte tendenze a tornare indietro al dominio pieno e incontrastato della partitocrazia ormai incapace di garantire tanto la rappresentanza (basti pensare ai mutamenti di casacca) quanto la stabilità politica. Se i partiti chiamati a questa prova d’appello fossero capaci di adottare e far proprio un simile percorso, se, contemporaneamente e in piena autonomia fossero capaci di una riforma costituzionale chiara, semplice, necessaria per fare di due spezzoni di Parlamento identici e perciò inutili un Parlamento unico, un’unica assemblea elettiva di 600 membri fondendo Camera e Senato, essi stessi ne guadagnerebbero in credibilità e il Parlamento così rafforzato in autorità e funzionalità. Ancor meglio se varassero una riforma elettorale decente e se, finalmente, attuassero l’obbligo costituzionale di dotarsi di statuti democratici compatibili con la Costituzione repubblicana.

15 mesi spesi bene, 15 mesi di buon governo e di buone riforme e l’Italia sarebbe rigenerata.

(di Claudio Martelli, politico, giornalista e scrittore)