Calma ragazzi. Perché mai per eleggere il Capo dello Stato dovrebbe volerci meno che a decidere il vincitore di Sanremo?

Categoria: Italia

Dal 1948 a oggi, su dodici elezioni, solo due volte il presidente della Repubblica è stato eletto prima del quarto scrutinio. E non siamo ancora arrivati alla terza (che comincia oggi)

Francesco Cundari, 26.1.2022 linkiesta.it lett3’

Sono passati appena due giorni dall’inizio delle votazioni per il presidente della Repubblica e già da un giorno e mezzo autorevoli commentatori, illustri politologi, celebrità della televisione, del teatro e di twitter lamentano l’indegno spettacolo offerto dalle trattative e dalle schede bianche, strappandosi i capelli perché il parlamento non ha ancora eletto il capo dello Stato. Gente che ci mette venti minuti per ordinare una pizza, venti ore per fare una riunione di condominio (nella migliore delle ipotesi, cioè quando non finisce in tribunale), sei mesi per decidere dove andare in vacanza con la moglie, trova scandaloso che i mille grandi elettori non abbiano già trovato l’accordo sulla prima carica dello stato. Ma perché? Ma quando si è stabilito che per scegliere il capo dello stato ci debba volere meno che a decidere il vincitore di Sanremo?

È una tendenza relativamente recente, i cui primi segnali si sono visti nel 2013, la prima elezione presidenziale ai tempi dei social network. È evidentemente anche una tendenza figlia della società del tempo reale. Ma fare i conti con la modernità e con il modo in cui nuove tecnologie e nuove abitudini ci hanno insegnato a scandire il tempo, a riconsiderare certi ritmi e certi rituali, non significa necessariamente che si debba comprimere anche la più delicata e solenne scelta istituzionale nei tempi di un video su TikTok. Abbiamo già avuto le pseudo-consultazioni in streaming, giusto nel 2013, e abbiamo visto com’è finita.

È una tendenza che i politici dovrebbero contrastare, invece di cavalcare, illudendosi come al solito di poter indirizzare la cagnara contro gli altri e salvare se stessi. Un esempio a caso? Enrico Letta, ieri sera: «Noi crediamo che dobbiamo rinchiuderci in una stanza, pane e acqua, e buttare via la chiave finché non si trova la soluzione, perché il paese credo non possa aspettare giorni e settimane di voti e schede bianche». Testuale: pane e acqua, e buttare via la chiave. L’immagine dell’autodafé della politica non potrebbe essere più efficace. Ma forse è solo il frutto di troppe riunioni con i cinquestelle.

Intendiamoci, nessuno nega che oggi, probabilmente, le ventuno votazioni consecutive che servirono per eleggere Giuseppe Saragat e le ventitré che si resero necessarie per eleggere Giovanni Leone non sarebbero sostenibili. Sta di fatto che dal 1948 a oggi, su dodici elezioni, solo due volte il presidente è stato eletto prima della quarta votazione (Francesco Cossiga nel 1985 e Carlo Azeglio Ciampi nel 1999, entrambi alla prima, escludendo per ovvie ragioni Enrico De Nicola, eletto dall’Assemblea costituente nel 1946). Dieci volte su dodici, negli ultimi settantacinque anni, il presidente della Repubblica è stato eletto dalla quarta in poi. E noi non siamo ancora alla terza (che comincia oggi).

Tra i mille paralogismi che si sentono in queste ore va particolarmente forte l’invettiva contro i partiti «che hanno avuto sette anni per mettersi d’accordo» e si sono ridotti all’ultimo, come se si trattasse di compiti per le vacanze. E mai nessuno che chieda all’indignato di turno che cosa avrebbe fatto al posto non già di «tutte le forze politiche», che è facile, ma è anche una condizione che non si dà in natura, bensì al posto di uno qualunque dei leader di partito realmente esistenti, per risolvere il problema per tempo. Fermo restando che se il presidente fosse eletto oggi, ripetiamolo in coro, sarebbe la terza elezione più rapida di sempre.

Ci sono poi quelli che trovano incresciosi i nomi a casaccio scritti sulle schede, nelle votazioni in cui la stragrande maggioranza dei grandi elettori ha deciso comunque di votare scheda bianca. Come se il problema fosse la scheda con su scritto «Amadeus», che non ha alcun effetto concreto, e non le schede che hanno portato in parlamento, davvero, rappresentanti del popolo come Sara Cunial, infaticabile attivista no vax. Eletta con il Movimento 5 stelle, con il voto e con il sostegno di buona parte di quelli che oggi s’indignano per l’oltraggio alle istituzioni rappresentato dal fatto che una scheda bianca non è stata lasciata bianca (cioè senza alcun nome scritto sopra, come precisava prudentemente l’indicazione di voto dei vertici cinquestelle ai propri parlamentari).