E' RIPRESA LA CORRISPONDENZA DI AMOROSI SENSI TRA CONTE E IL SUO RASPUTIN BETTINI PER FAR LA PELLE A LETTA E CERCARE IL "MÉLENCHON ITALIANO"

Categoria: Italia

– BETTINI CE L’HA CON LETTA, ZINGARETTI GUALTIERI. SONO GLI STESSI CON CUI CE L’HA CONTE CHE SI SENTE TRADITO DA UN PEZZO DEL PD CHE LO AVEVA SOSTENUTO, FRANCESCHINI COMPRESO

Alessandro De Angelis per huffingtonpost.it

- L'IDEA DI UNA "COSA ROSSA" DEGLI INCAZZATI CON ORLANDO, LA SINISTRA PD, BERSANI (MANCA SOLO ANDROPOV) - INTANTO AL NAZARENO I FEDELISSIMI DI ENRICHETTO SOGNANO IL VOTO ANTICIPATO PER...

Alessandro De Angelis per huffingtonpost.it

È un po’ che, nell’orecchio di Letta, in parecchi hanno cominciato a sussurrare la parola “voto”. Zingaretti lo mette in guardia dal logorio della vita del moderno segretario, Paola De Micheli considera il governo ormai finito, Francesco Boccia è il teorico del rischio “montizzazione”: “Enrico – gli ripete tutti i giorni rinsavito dalla sbornia contiana – finita la fase cruenta della guerra, rischiamo di pagare sul terreno della protesta sociale la nostra famosa responsabilità, dobbiamo tornare a litigare con Salvini per togliere acqua a lui, e a chi ci sfida da sinistra”.

È opinione diffusa, nell’attuale gruppo dirigente del Pd che in parecchi, sia pur in modo scomposto e senza una trama unitaria, coltivino il disegno di mandarlo a sbattere nel 2023, dopo una finanziaria di lacrime, per poi fare una roba italiana alla Mélenchon (al congresso del Pd) su cui la manovra si è già messa in moto e si intravedono dei segnali. E dunque: meglio giocare d’anticipo, sfruttare le divisioni, fare le liste.

Perché lo spostamento al centro sulla guerra, rischia di aprire una faglia a sinistra, su armi e conseguenze della crisi. Questione che il segretario ha ben presente, e infatti ha iniziato a mettere al centro la questione sociale, il dialogo coi sindacati, la difesa del ministro Orlando dagli attacchi di Confindustria e il sostegno alle sue proposte sui salari.

Per andare a cercare il Mélenchon italiano occorre iniziare il cammino da via Tirso, stradina del quartiere Trieste a Roma, dove, con tanto di targhetta, su un campanello si legge “Goffredo Bettini”: “Dotto’ - racconta un negoziante - ce stava er codazzo qualche settimana fa. È arrivato Conte, co’ tutti i suoi. Andava da quello del Pd, quello grosso, c’ha l’ufficio qua”. Il ristoratore poi racconta di una cena con la Cirinnà, il barista di incontri con vari parlamentari. È a un isolato di distanza dallo stabile in cui, dopo i fasti del “modello Roma” Bettini aveva un ampio loft – studio e abitazione – da cui partì la sua campagna per le europee del 2009.

Da quando c’è la pax lettiana il teorico di Conte “punto di riferimento dei progressisti” soffre la perdita del ruolo di Rasputin del segretario, che lo ha reso ininfluente per gli amici e irrilevante per i nemici. E trama. Francesco Storace, evidentemente informato e non smentito, ha scritto che è al lavoro su un libro: “Un ciclone di nome Bettini si abbatterà sul Pd, perché si è stancato delle cattiverie ed è profondamente ferito”. Ce l’ha con Letta, con la Nato e col posizionamento sulla Nato. E anche con Zingaretti che si è affrancato dalla sua ombra ingombrante e con Gualtieri, che il modello Roma, politiche e nomine, non se lo fa dettare da nessuno. Sono gli stessi con cui ce l’ha Conte che si sente tradito da un pezzo del Pd che lo aveva sostenuto, Franceschini compreso: “Il suo sogno – racconta chi dei Cinque stelle lo conosce bene – è che cada Letta per riavere un segretario del Pd con Bettini come guru, intanto se lo è scelto come suo, di guru, infatti ogni volta che attacca Letta lo fa su suo input”.

Ecco, fallita l’idea di un partito di Conte, sfruttando la sua popolarità dopo la caduta del governo, il nuovo orizzonte è la suggestione del Mélenchon italiano. Che è poi il fil rouge anche degli ultimi posizionamenti dell’avvocato del popolo, nell’affannoso e grossolano tentativo di scravattarsi per recuperare il voto degli incazzati che una volta votavano Cinque stelle in quanto “contro”. In particolare il no alle armi, all’escalation militare, alla “corsa forsennata al riarmo” che suona tanto bene per i sondaggi, anche se l’invio di armi pesanti non è in agenda perché, come noto, il nuovo decreto interministeriale firmato da Di Maio è uguale al precedente.

Ma conta la rappresentazione più che la realtà, di cui fa parte anche un po’ di vittimismo (“questa battaglia mi è costata tanto fango”) e un’accoglienza al congresso di Articolo 1 da leader di una novella Cosa rossa che ammicca alla sinistra del Pd. E non è un caso che Patuanelli, fedelissimo di Conte, ha sottolineato con un comunicato il suo apprezzamento all’intervento di Orlando a quel congresso e, di contro, che invece Luigi Di Maio sia andato a porgere il suo saluto il giorno in cui c’era Enrico Letta, tanto per far capire da che parte sta.

E tutto torna, perché, ai tempi in cui si parlava del partito di Conte, era previso un ruolo, in lista e non solo, per Bersani, uno per Emiliano, la benedizione di D’Alema, adesso azzoppato dall’affaire colombiano, insomma dentro c’era l’idea di far esplodere il Pd, agganciandone la sinistra. Che però non è esploso, questione che non è proprio un dettaglio. Perché si fa presto a dire “facciamo come in Francia” ma, per tutta una serie di ragioni – ambizioni, storie politiche, prospettive – di aspiranti Mélenchon ce ne sono fin troppi in Italia.

Solo nel variegato mondo della sinistra del Pd si contano 7 correnti, secondo l’antico adagio “dove vai (al tavolo delle liste, ndr) se una corrente non ce l’hai: Orlando, la più numerosa, che già una volta si candidò alla segreteria del Pd contro Renzi; Provenzano che da lì viene ma si è ritagliato un ruolo più autonomo sulla partita del Quirinale e sulla guerra, posizionandosi senza se e senza ma per l’invio delle armi in Ucraina; Zingaretti autonomo da Bettini e la corrente degli ex zingarettiani autonomizzatisi da Zingaretti (Oddati, Vaccari e Furfaro), Cuperlo, i turchi di Orfini e, appunto Bettini. In un quadro in cui nessuno è il punto di riferimento degli altri e anche in Articolo 1 si intravedono delle sfumature tra il contismo di Bersani e Speranza che è tornato al Nazareno per l’Agorà sul lavoro col Pd, molto dialogante con Letta.

Perché poi, alla fine di tutta questa storia, sempre lì si finisce: ai seggi e ai posti in lista. Mélenchon li crea, i suoi aspiranti omologhi italiani li cercano e a stento tutelano quelli che anno. Per avere un’idea, fatevi un giro in Parlamento, lato Cinque stelle.