Vladimir chi? Il PalaPutin santoriano dimostra che la famosa «società civile» non ha mai capito niente di regimi

Vent’anni fa la sinistra si divise aspramente attorno alle mobilitazioni di quegli stessi intellettuali che ieri affiancavano il capostipite del populismo televisivo. Il revival di lunedì dovrebbe essere occasione di un onesto bilancio

Francesco Cundari 4.5.2022 linkiesta.it lett3’

Il manifesto dell’iniziativa promossa da Michele Santoro sulla guerra in Ucraina aveva qualcosa di antico, con l’elenco degli intellettuali chiamati a partecipare, da Moni Ovadia a Sabina Guzzanti, da Vauro a Fiorella Mannoia. Mancava solo il popolo dei fax (sì, quando Santoro cominciò a cavalcare questo genere di mobilitazioni esisteva ancora il fax), ma quelli erano addirittura i primi anni novanta. L’epoca d’oro, per essere precisi, cominciò un po’ dopo, nei primissimi anni duemila: girotondi, PalaVobis, Ambra Jovinelli.

Non c’è bisogno di perdersi nei meandri di Google per rievocare l’interminabile elenco dei luoghi e delle relative motivazioni alla base delle iniziative che di lì in poi hanno scandito l’infaticabile attivismo della cosiddetta «società civile», dalla guerra in Afghanistan a quella in Iraq, dalle leggi sulla giustizia a quelle sulle frequenze radiotelevisive. Così come non serve aggiungere ai nomi di lunedì sera i tanti che non ci sono più o che nel frattempo sono tornati ai rispettivi mestieri: l’identità di una squadra non cambia per la sostituzione di un paio di centrocampisti, tanto meno per quel minimo di fisiologico turnover che ha visto qualche giovane sardina prendere il posto occupato vent’anni fa da un regista o da uno scrittore.

Non stupisce che la manifestazione santoriana sulla «pace proibita» – proibita da tutti (Biden, Nato, Zelensky, il battaglione Azov), meno che da Putin, par di capire – sia stata trasmessa su Youtube da uno dei più indefessi divulgatori di bufale contro i vaccini e a favore della Russia, allevato non a caso negli uffici comunicazione di quel Movimento 5 stelle che di tutto questo ventennale attivismo è stato il prodotto più riuscito. Tanto meno può stupirci che i partecipanti abbiano ripetuto dal palco le solite assurdità sulla minaccia rappresentata dai nazisti ucraini, sulle provocazioni della Nato, su Zelensky marionetta degli americani, sulla necessità di disarmare gli aggrediti (anziché gli aggressori) e via orsineggiando.

A completare l’effetto amarcord mancava solo un nome, e non a caso: quello di Paolo Flores d’Arcais, il quale nelle scorse settimane ha usato parole durissime contro chi, come il presidente dell’Anpi, ha avuto il coraggio di mettere in dubbio le atrocità di Bucha e proporre un’inaccettabile equidistanza tra vittime e carnefici. Non stupisce che, forse per la prima volta in venti o trent’anni di iniziative simili, molte delle quali convocate e organizzate da lui, non fosse presente.

Nonostante questa significativa eccezione, di cui è giusto dare atto, il revival santoriano permette comunque di tirare un bilancio, approfittando di quel poco di senno del poi che l’esperienza dovrebbe averci regalato.

Vent’anni fa, come i meno giovani ricorderanno, la sinistra si divise infatti aspramente tra chi guidava questo genere di mobilitazioni e chi sosteneva partiti e dirigenti che di tali manifestazioni erano spesso il bersaglio. I promotori teorizzavano che solo grazie a quel genere di iniziative si potesse fermare la deriva autoritaria verso il «regime» berlusconiano. E il fatto stesso che alcuni dirigenti del centrosinistra non accettassero questo tipo di propaganda, e non volessero ad esempio parlare di «regime», era per gli intransigenti la prova della loro sostanziale complicità. Dall’altra parte c’era chi, come me, sosteneva al contrario che quel tipo di mobilitazione non solo era funzionale al berlusconismo, ma soprattutto spianava la strada alla peggiore involuzione populista.

Vent’anni fa, obiettivamente, entrambe le previsioni erano lecite: chi avrebbe potuto dire con certezza se vent’anni dopo ci saremmo ritrovati prigionieri di una dittatura personale costruita passo dopo passo da Silvio Berlusconi, anche grazie all’acquiescenza di un’opposizione troppo morbida, o al contrario in un sistema politico reso ormai ingovernabile dalla deriva populista e antipolitica fomentata da certi suoi oppositori?

Vent’anni dopo, però, lo sappiamo. Avevo ragione io.

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