L'ARTE DI PERDERE La sconfitta, per la sinistra italiana, è una disciplina. Con un antico rituale: l'analisi del voto

Categoria: Italia

L’Europa è un bancomat, si seguono le regole utili a far arrivare i fondi, ma poi basta: fuori dai piedi. È questo l’antieuropeismo di Orbán e di Kaczynski, ispiratori della destra sovranista italiana

FRANCESCO CUNDARI, Peduzzi e Flamini 26.9. 2022 ilfoglio.it lett2’

Dalle politiche del ’94 al referendum del 2016: quando perdere è un’arte. E subito dopo comincia la lunga e mai conclusa battaglia tra i sostenitori di una modernizzazione senz’anima e i fautori di un caloroso primitivismo

Fedele almeno in questo a una radicata tradizione nazionale, la sinistra italiana non si è mai trovata a proprio agio con le vittorie, che le sono sempre apparse in qualche misura mutilate, tradite o incompiute. Un po’, forse, perché di veri, grandi e indiscutibili trionfi, nella sua lunga storia, non è che ne abbia visti moltissimi. E un po’ perché, in un modo o nell’altro, se non nella vittoria in sé, perlomeno nelle sue cause, o magari nelle sue conseguenze, ha avuto sempre l’insopprimibile tendenza a trovare qualcosa di storto, qualcosa che non andava, qualcosa di troppo grande o qualcosa di troppo piccolo, comunque qualcosa di sufficiente a mandargliela di traverso.

-Buongiorno Ungheria. Un viaggio storico-culturale dentro un modello che ci conviene conoscere

PAOLA PEDUZZI E MICOL FLAMMINI 26 SET 2022

L’Europa è un bancomat, si seguono le regole utili a far arrivare i fondi, ma poi basta: fuori dai piedi. È questo l’antieuropeismo di Orbán e di Kaczynski, ispiratori della destra sovranista italiana

Molto atlantismo, poco europeismo. Le lezioni del PiS a Meloni

S’è chiacchierato così tanto di Viktor Orbán nelle ultime settimane che pareva che fosse candidato pure lui alle nostre elezioni. La destra italiana lo strattona di qui e di là da molto tempo, cercandone l’appoggio formale, poi la guerra della Russia in Ucraina ha stravolto, tra le tantissime cose, anche la rincorsa al premier ungherese: l’est dell’Europa non è più lo stesso dallo scorso febbraio, e nemmeno lo sono le coalizioni conservatrici del continente. Orbán però c’è sempre: citato, criticato, temuto, liquidato – vale tutto, lui c’è. A prima vista tanta attenzione è bizzarra: l’Ungheria ha un pil che è un dodicesimo di quello italiano (un ventiquattresimo di quello tedesco, ma non infieriamo, nemmeno sull’Italia); ha 10 milioni di abitanti, cioè il due per cento della popolazione europea, in costante calo; ha più emigrati che immigrati anche se costruisce muri ai confini e blocca tutte le operazioni di riallocazione di migranti all’interno dell’Ue; è beneficiaria netta dell’Ue, cioè riceve più soldi di quanti ne versa, e ha 21 europarlamentari in un’istituzione che ne conta 705. Perché dunque è così conteso il premier ungherese, perché il suo benestare è tanto rilevante?