ALLARME ROSSO PER GIORGIA MELONI (Letta sa perdere Salvini no ndr)

Categoria: Italia

LO SCONTRO TRA SALVINI E GOVERNATORI DELLA LEGA PUO’ CAUSARE SCOSSONI - FOLLI: “SE AVESSERO CORAGGIO ZAIA, FEDRIGA, GIORGETTI POTREBBERO METTERE IN MINORANZA IL LORO CAPO.

27.0.2022 daospia.com lettura3’

L’ALTRO SCENARIO È LA RISPOSTA AGGRESSIVA DEI SEGUACI DI SALVINI ALL'ATTACCO DEI "GOVERNATORI": LA RESPONSABILITÀ DEL CROLLO NON SAREBBE DEL "CAPITANO", MA DI ZAIA, GIORGETTI, FEDRIGA CHE HANNO INDOTTO SALVINI AD APPOGGIARE DRAGHI, CONVINCENDOLO CHE QUESTA ERA LA VOLONTÀ DEGLI IMPRENDITORI DEL NORD..."

Stefano Folli per “la Repubblica” Se lo psicodramma del Pd racconta la sconfitta di Enrico Letta e lascia intuire l'abisso in cui rischia di smarrirsi il centrosinistra, c'è un'altra disfatta di cui ancora sappiamo poco ma i cui riflessi potrebbero essere clamorosi. Il protagonista negativo è ovviamente Matteo Salvini, un tempo prestigiatore che moltiplicava i consensi della Lega e oggi ridotto a comprimario dello spettacolo allestito da Giorgia Meloni.

Quel risultato tra l'8 e il 9 per cento è al di sotto di ogni attesa ed è ingenuo pensare che non produca conseguenze, per cui tutto continua come se nulla fosse. Salvini ha dato proprio questa impressione quando ha detto all'incirca: non vedo l'ora di lavorare con Giorgia, abbiamo cinque anni davanti. Nessuna autocritica, dopo che le liste di Fratelli d'Italia hanno surclassato i candidati del Carroccio nei territori del Nord, un tempo feudi inattaccabili del movimento fondato da Bossi.

Oggi invece sono terra di conquista, dove si disarticola il progetto salviniano peraltro già fallito: la famosa Lega nazionale, un partito di destra non più solo nordista, presente in ogni regione d'Italia. Viceversa, il destino ha cambiato cavallo, come scriveva Leo Longanesi. Dopo il voto di domenica, quel destino descrive un partito "centralista" come pochi, FdI, capace di espugnare i luoghi tipici dell'autonomismo leghista. E lo fa con estrema facilità, da alleato e non da avversario.

Il presidente del Veneto, Zaia, ha dato voce per primo all'inquietudine di tutti gli amministratori della Lega, nei Comuni e nelle Regioni: «Il risultato è deludente, ora occorre fare un'analisi seria delle cause». Il che apre due scenari. Il primo porta a immaginare che il potere del cosiddetto "capitano" sia in procinto d'essere messo in discussione. Se volessero, se avessero il coraggio politico di farlo, gli Zaia, i Fedriga, i Giorgetti avrebbero la possibilità di mettere in minoranza il loro capo, nonostante egli sia ben tutelato da un circuito di parlamentari fedeli.

L'opportunità è di quelle che potrebbero non ripetersi. In luglio un sondaggio collocava la Lega al 14,4 per cento; ora il dato reale della Camera è l'8,8. In poco più di due mesi Salvini avrebbe perso il 5,6. E tra breve tutto diventerà più difficile, nel momento in cui comincia la cooperazione con Giorgia Meloni, colei che ha prosciugato il voto leghista. Il secondo scenario è la risposta molto aggressiva dei seguaci di Salvini all'attacco dei "governatori": la responsabilità del crollo non sarebbe del "capitano", bensì proprio di Zaia, Giorgetti, Fedriga e dei loro sostenitori.

Sarebbero loro ad aver indotto Salvini ad appoggiare il governo Draghi, convincendolo che questa era la volontà degli imprenditori del Nord. Ne deriva che i falchi del salvinismo rinnegano il sostegno a Draghi e anzi lo considerano la causa prima della caduta elettorale, con l'argomento semplicistico che Giorgia Meloni ha vinto perché non aveva condiviso l'esperienza dell'esecutivo "tecnico".

Qui si deve immaginare un contrasto reale all'interno del Carroccio. Le due tesi vanno a incidere sull'identità profonda del movimento. Il punto degli amministratori descrive una Lega nordista, attenta al mondo delle piccole e medie imprese, desiderosa di stabilità politica: ieri con Draghi, domani con Meloni. Viceversa Salvini - se mai dovesse accettare la tesi dei falchi - dovrebbe entrare in urto frontale con i "governatori" che lo sfidano.

Il che difficilmente potrebbe conciliarsi con una tranquilla navigazione nel governo Meloni. Tutti capiscono peraltro che il segretario leghista vuole spegnere i fuochi nella speranza di tornare al Viminale. Questo non accadrà. C'è un gioco di "veti" intorno a tale ipotesi, per ragioni interne e internazionali. Ma il caso Salvini dovrà essere disinnescato prima che sia troppo tardi, magari con un incarico istituzionale alternativo al ritorno al governo.

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