Dal 1923. Ambrosoli, un viaggio nei cent’anni della fabbrica italiana del miele

Categoria: Italia

A Ronago, oggi si producono circa 1,6 milioni di chili di miele e più di 400 milioni di caramelle. Seguendo il motto del fondatore Giovanni Battista: «Al miele non dovrete mai aggiungere nulla»

4.12.2023 Lidia Baratta, linkiesta.it lettura 6’

Ronago sta ad Ambrosoli come Monfalcone a Fincantieri o Mirafiori alla Fiat. Il paesino in provincia di Como, poco più di 1.600 abitanti al confine tra Italia e Svizzera, da cento anni è sede della fabbrica del miele italiano più noto al mondo. Messo prima in barattolo, poi nelle famose caramelle ripiene.

Oltrepassato il cancello dello stabilimento di via Ambrosoli, tutto ruota attorno al miele e alle api. L’odore dolce invade già il cortile. Ma una volta superate le porte dei reparti di produzione è come piombare nella versione nazionale della “Fabbrica di cioccolato”. Dal 1923, lo stabilimento si è allargato tutto intorno all’antica casa di famiglia, che presto potrebbe diventare un museo. «Qui una volta c’era il giardino pieno di fiori e alberi con le arnie per le api», ricorda il presidente Alessandro Ambrosoli, 90 anni, l’ultimo degli otto figli di Giovanni Battista Ambrosoli, fondatore della dinastia del miele. Una sorta di locale Willy Wonka che fa da cicerone tra le linee di produzione dei vasetti e i rulli che dalla melassa calda tirano fuori le piccole caramelle gialle.

L’inverno è alta stagione per la produzione a Ronago. Con le temperature rigide, la domanda di miele e caramelle per la gola aumenta. E la fabbrica è a pieno regime.

«Fino al 1932 si faceva tutto a mano, ora è quasi tutto automatizzato», spiega il signor Sandro. Il primo macchinario per il confezionamento automatico delle caramelle venne introdotto nel 1935. Si cominciò con una macchina che sputava fuori 80 caramelle al minuto arrotolate nella iconica velina gialla. Oggi si è arrivati a 1.600 al minuto.

All’ingresso del reparto miele, si sente una folata di vento. «È per tenere lontane le api», spiega un operaio. Anche i vasetti venivano tappati a mano. Quello era il lavoro delle donne, mentre i mariti erano occupati nelle mansioni più faticose. Le foto in bianco e nero che lo testimoniano sono appese negli uffici con gli oblò a forma di esagono degli alveari, e anche nel negozio all’ingresso pronto per le spedizioni natalizie.

Lungo un intero secolo, la fabbrica ha dato lavoro a gran parte del paese di Ronago. Maestranze che si tramandano da madre e padre in figlio e figlie. Poi sono arrivate le macchine e oggi nello stabilimento lavorano solo 70 dipendenti, tutti di Ronago e paesi limitrofi. Una sorta di famiglia nella famiglia. «Quando è esploso il Covid, ci siamo riuniti in cortile e abbiamo chiesto agli operai che volevano fare. Tutti hanno detto che volevano continuare la produzione. Siamo stati molto attenti, non abbiamo avuto neanche un positivo e non abbiamo chiesto un euro di cassa integrazione», dice il presidente.

La nascita del marchio Ambrosoli si deve a Giovanni Battista Ambrosoli, detto Battistino. Diplomato in chimica industriale, dopo aver lavorato in una fabbrica metallurgica nel canton Zurigo, eredita l’azienda di bachicoltura della nonna paterna. «Divenni apicoltore perché ero un consumatore appassionato di miele», ammise. Di tanto in tanto, Giovanni battista era solito andare in Svizzera per rifornirsi di miele dal suo apicoltore di fiducia a Stabio. Due latte duravano più o meno per un intero anno. Poi nel 1914 arriva la grande guerra. La Svizzera proclama la neutralità e serra le frontiere. A Stabio non si poteva andare più. Un apicoltore del lago di Como gli suggerisce allora di posizionare due famiglie di api nel giardino di casa. Giovanni Battista si carica le arnie in macchina, le porta a Ronago e comincia a prodursi il miele da sé.

Da un piccolo peccato di gola, comincia così la leggenda di Ambrosoli. Agli inizi il miele era autoprodotto. Appassionato di natura, Battistino iniziò a studiare le api, leggendo libri e riviste. Certo, quello era un mondo diverso, le api non erano ancora a rischio estinzione a causa dell’inquinamento e la produzione era fiorente. Il padre fondatore della dinastia Ambrosoli si era addirittura specializzato nell’apicoltura nomade, trasferendo gli alveari da un territorio all’altro. «Partiva di notte quando le api erano addormentate», racconta Alessandro. «Bruciavano uno straccio, di modo che l’odore del fumo le faceva assopire. Poi lasciava per un periodo le api a vagare tra i fiori, tornava per il raccolto ed era pronto a partire verso una nuova fioritura».

La produzione di miele comincia prima per uso familiare, poi per il vicinato. Fino a quando nel 1923 viene registrato in Camera di Commercio il nome “Ditta G.B. Ambrosoli”.

Negli anni Trenta, la famiglia cresce e nasce l’esigenza di allargare il mercato. Viene creata la cera d’ambra per pavimenti e mobili e nel 1936 inizia anche la produzione della paglietta d’acciaio per pulire i tegami anneriti. Poi si accende la lampadina: serve un prodotto tascabile per portarsi dietro il miele. Ovvero, le caramelle. Ma bisognava imparare a farlo. Viene mandato un operaio a studiare in una fabbrica svizzera. Sarà colui che diventerà il «capo caramelle» per quarant’anni.

Nel corso della seconda guerra mondiale, poi, tutte le arnie andranno distrutte. Terminato il conflitto, Giovanni Battista e i quattro figli si rimettono in moto e tornano a cercare apicoltori per formulare la loro miscela. Poi, con gli anni Cinquanta e Sessanta, arriva la vera e propria modernizzazione della ditta.

Le caramelle di Ronago diventano lo sponsor del Giro d’Italia e tutta l’Italia canticchia il motivetto «Bella, dolce, cara mammina dacci una caramellina» davanti a Carosello. «Sei trasmissioni costavano 43 milioni di lire, una cifra pazzesca», ricorda Alessandro.

Laureato in chimica industriale, come il fratello Alessandro viene mandato in America a imparare, a vedere le fabbriche di caramelle e le apicolture. Poi, rientra in Italia.

Dagli anni Trenta, la Ambrosoli aveva già cominciato a comprare il miele selezionando i migliori produttori in Italia e soprattutto all’estero, inaugurando così un modello di business applicato ancora oggi. Per replicare nel tempo la stessa miscela e mantenere intatto il sapore dei vasetti millefiori, Ambrosoli oggi compra il miele da Ungheria, Argentina, Moldavia e qualche piccola quantità anche dall’Ucraina. Per un totale 1 milione e 400mila chili di miele importato ogni anno. A cui si aggiunge una piccola quantità di miele d’arancia dalla Sicilia e dalla Calabria.

Nella fabbrica lavora oggi la quarta generazione di famiglia, seguendo ancora le parole d’ordine di Battistino: «Al miele non dovrete mai aggiungere nulla». Ogni anno vengono prodotti circa 1,6 milioni di chili di miele e più di 400 milioni di caramelle.

Per il centenario dell’azienda, il Mimit ha prodotto un francobollo ad hoc. E sono stati realizzati un docufilm – “Una passione dirompente”, con la direzione artistica di Silvio Soldini – e un libro – “Ambrosoli. Una storia di famiglia e di impresa” (Mondadori), scritto da Alessandro Ambrosoli e Silvia Cadrega – che raccontano la vicenda di questa famiglia. Una storia che da Ronago tocca l’Australia, il Cile, gli Stati Uniti e l’Africa, dove il fratello Giuseppe Ambrosoli, oggi beato, missionario in Uganda, ha creato un ospedale da cui poi ha preso forma anche la Fondazione Ambrosoli.

Ad oggi l’azienda fattura 30 milioni di euro. Il 20% è dato dall’export, di cui l’80% è rappresentato dalle caramelle, spedite soprattutto negli Stati Uniti, ma anche in Giappone e Corea del Sud. E solo per il mercato americano, nel piccolo stabilimento di Ronago si producono le caramelle Zotz frizzanti. «Nel 1968 mandammo un campione di due chili di queste caramelle a un amico americano per fargliele provare», racconta Alessandro Ambrosoli. «Lui ne assaggiò una e la sputò, buttando il sacchetto nell’immondizia. Ci disse che facevano schifo. Poi il figlio vide quel sacchetto, assaggiò le caramelle e con un amico le fece fuori tutte. Da lì cominciò la produzione. All’inizio la domanda era superiore a quanto riuscivamo a produrne. Ci supplicavano per produrne di più». Oggi di Zotz ce ne sono di otto gusti diversi, dall’anguria all’uva, e un intero settore della fabbrica è dedicato solo alla produzione americana.

Da Ronago, il confine svizzero è a poco più di mezzora di macchina, ma nessuno tra gli Ambrosoli è mai stato tentato di oltrepassarlo per pagare qualche tassa in meno o magari delocalizzare la produzione altrove per ingrandirsi e ridurre i costi. «Ambrosoli è e resta a Ronago», dice il presidente. Si dice che più di una volta investitori e fondi siano presentati alla porta dello stabilimento, ma la famiglia non ha mai ceduto ai richiami dell’alta finanza.

Nonostante i suoi novant’anni, Alessandro Ambrosoli continua a fare su e giù da Milano ogni giorno. Muovendosi tra le linee di produzione come un moderno alchimista per sperimentare nuovi abbinamenti di gusti col miele, dallo zenzero alla cannella, dalle bacche di goji al cardamomo. Creme, torroncini, caramelle al latte. E ora pure il pandoro. Li pensa, li fa, li assaggia. E se non lo soddisfano, li rifà fino a raggiungere ricetta giusta. «Ora devo andare», dice. «Mi aspettano a Milano per testare un agitatore per produrre una nuova crema». Per ora, resta un segreto. Ma la vedremo presto negli scaffali del supermercato.