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Giuseppe Pasini: “Dazi non sono solo perdita dell’export, ma anche prodotti cinesi che ritornano in Europa”

Antonio Picasso 19 Marzo 2025 alle 11:17, ilriformista.it lettura3’

Giuseppe Pasini, Presidente di Confindustria Lombardia, attende con timore le barriere doganali degli Stati Uniti. «Alcuni prodotti del Made in Italy – commenta – hanno il vantaggio di non essere replicabili. Penso all’agrifood e alla moda. Ci sono però le produzioni di base, come chimica, metallurgia e meccanica, che non sono competitive a causa dei costi esorbitanti di produzione».

Presidente, la Lombardia ha una forte interconnessione con il mercato Usa. Quant’è la preoccupazione e quali sono le filiere più a rischio?

«La preoccupazione c’è ed è tanta. Nel 2024 il volume dell’export lombardo verso gli Usa è stato pari a 13,7 miliardi di euro, con l’introduzione di dazi prevediamo un rallentamento delle esportazioni nella cornice di un network commerciale da sempre importante. Meccanica, tessile e food sono le filiere più esposte».

Due su tre di queste sono già in difficoltà a livello produttivo.

«Esatto. Però io guarderei il tema dazi sotto un’altra luce. Le barriere doganali non sono solo per l’Europa, ma anche per la Cina. Nel momento in cui scatteranno le misure di Washington, una parte dei prodotti cinesi si riverseranno qui da noi. Un danno oggi difficile da quantificare, ma ben prevedibile. Da imprenditore siderurgico ho già visto quanto è successo nel mio settore. Negli ultimi 7-8 anni, in Europa sono andati in fumo circa 40 milioni di tonnellate di acciaio. Erano 170 milioni, oggi sono 130 milioni le tonnellate di acciaio prodotte all’anno sul nostro continente. Chi ha colmato questo vuoto? Una buona parte, se non tutta, la Cina. Lo stesso può accadere in altri settori».

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Quindi cosa facciamo?

«Servono misure di sorveglianza. Già in parte ci sono e vengono applicate. Ma bisogna migliorale».

Peraltro noi, rispetto agli Usa, abbiamo l’handicap dell’energia, che è cara, e delle materie prime che mancano.

«Noi non siamo competitivi. Basta fare un confronto tra il prezzo del gas pagato negli Usa, 15 €/MWh, contro i prezzi medi europei, intorno ai 36-37 €/MWh, ma con punte che hanno superato i 50 euro».

Se i costi fossero più contenuti, i dazi sarebbero meno pericolosi?

«Difficile dirlo. Come Confindustria siamo impegnati per lo sdoppiamento dei prezzi, per evitare di pagare l’energia solo sui prezzi del gas, ma anche tenendo conto delle rinnovabili. Già questo sarebbe un sostegno importante delle imprese e bloccherebbe le speculazioni. Peccato che la Commissione Ue non ci senta».

Parlando di rinnovabili, quindi ok al nucleare?

«Assolutamente sì. Ma in parallelo dobbiamo incentivare altre fonti. Dobbiamo sburocratizzare gli iter autorizzativi. Oggi ci vogliono anni per la messa a terra di un parco fotovoltaico. È inammissibile nel momento in cui si chiede uno sforzo per ridurre la dipendenza dal gas».

Lei dice che l’Ue non vi sente. Perché? Il Clean Industrial Deal non è un passo verso di voi?

«È presto per valutarlo. Io mi limito a osservare le decisioni prese. Le proposte italiane in favore del motore ibrido non sono state accolte. Si è scelta la strada dell’elettrico ignorando il principio della neutralità tecnologica. L’Ue ha allargato le maglie, ma gli obiettivi restano. Questo è un problema. Penso soprattutto alla componentistica dell’auto che in Lombardia è protagonista».

Ecco, appunto, l’auto: è in crisi e si pensa di convertirne i siti produttivi in fabbriche per la difesa. È possibile?

«La vedo dura. Auto e aerospazio non sono la stessa cosa. I miei colleghi lombardi che hanno una visione completa del mercato dell’auto hanno tutte le ragioni nel dire che solo 10% delle imprese sarebbe in grado di fare un cambio così radicale».

Quindi l’industria lombarda rischia grosso?

«Sì. E questo vuol dire che rischia grosso tutto il Paese. Dazi, costi produttivi e i legami con l’industria tedesca, quella che ha puntato sull’elettrico in maniera scellerata, possono mandarci fuori strada».

Chiudiamo con l’Ucraina. Se si dovesse raggiungere una tregua, un’industria come quella lombarda che ruolo avrebbe nella ricostruzione del Paese?

«Noi avremmo tutte le possibilità per essere protagonisti. Tuttavia, mi preoccupa la Turchia. Ankara è nostra concorrente diretta nella chimica, nella metallurgia, nella meccanica. E con i suoi bassi costi di produzione e la posizione geografica favorevole può esserci di intralcio».

Antonio Picasso

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