Schlein aveva detto in direzione di non voler stare né con Trump né «con l’Europa per continuare la guerra»
Francesco Cundari 12.5. 2025 linkiesta.it lettura2’
Le immagini dei leader europei accanto a Volodymyr Zelensky lungo le strade di Kyjiv, il 9 maggio, dicono tutto quello che c’è da dire tanto sul ritrovato protagonismo internazionale dell’Italia guidata da Giorgia Meloni, assente ingiustificabile, quanto sulla consistenza della sua presunta evoluzione europeista e atlantista, almeno se il termine è correttamente inteso come sinonimo di aderente ai principi dell’Alleanza atlantica, e non semplicemente di disciplinato alleato della Casa Bianca. I leader dell’Europa che hanno deciso di fronteggiare con fermezza l’imperialismo putiniano erano lì, fisicamente, tutti insieme: il presidente francese Emmanuel Macron, il cancelliere tedesco Friedrich Merz, il premier britannico Keir Starmer (che sta riportando di fatto la Gran Bretagna al centro della politica europea) e il presidente del Consiglio polacco Donald Tusk. Meloni ha preferito marcare la sua distanza dai cosiddetti «volenterosi», limitandosi a un veloce collegamento da remoto (come al solito), per puntare ancora su Donald Trump. La versione ufficiale, naturalmente, è sempre quella del «ponte», ma più il gioco si fa duro, dalla diplomazia alla politica commerciale, più sarà inevitabile prendere atto del fatto che il ponte non è altro che un cavallo di troia, esattamente come lo sono i migliori amici di Meloni nell’Ue, dall’ungherese Viktor Orbán allo slovacco Robert Fico (unico europeo che il 9 maggio era presente alla parata di Vladimir Putin) con cui la nostra presidente del Consiglio ha avuto almeno il buon gusto di rinviare l’incontro, previsto proprio in questi giorni.
Ci sarebbero dunque mille motivi per inchiodare la presidente del Consiglio alle sue responsabilità, denunciando la miope faziosità della sua politica, così palesemente contraria agli interessi nazionali, anche dal punto di vista economico (a meno di non voler credere alla teoria salviniana secondo cui i dazi di Trump ci farebbero un gran bene). Ma davvero non si capisce con quale faccia i dirigenti del Pd possano rimproverare a Meloni l’assenza a Kyjiv: non è esattamente la posizione espressa da Elly Schlein alla direzione del suo partito, quando aveva dichiarato che il Pd non stava né con Trump e il suo «finto pacifismo» né «con l’Europa per continuare la guerra»? Per non parlare di Giuseppe Conte, ovviamente, che tenta di cavarsela a modo suo, con un surreale «Meloni resta a guardare le scelte degli altri», quasi a lasciare intendere che la nostra presidente del Consiglio avrebbe dovuto andare a Kyjiv per spiegare a tutti i presenti quanto fosse sbagliato sostenere l’Ucraina, in pratica per sgridarli e riaccompagnarli subito a casa.