Eppur si muovono I riformisti Pd contraddicono Schlein sui referendum, e finalmente fanno politica

Categoria: Italia

Gli adulti del partito escono allo scoperto per la prima volta insieme e in modo esplicito, andando contro la segretaria (e Landini) sui quesiti in materia di lavoro.

Mario Lavia 14.5.2025 linkiesta-it lettura3’

Una rottura che segna un nuovo corso e rompe l’unanimismo degli ultimi due anni. Appuntamento allargato all’area ex Terzo Polo domani a Milano

Si apre un’altra fase nella vicenda del Partito democratico, perché per la prima volta in modo così esplicito e pubblico la minoranza riformista contraddice apertamente le scelte della maggioranza della segretaria Elly Schlein.

Era d’altronde inevitabile che il nodo dei referendum venisse al pettine: sin dall’inizio la consultazione per abrogare il Jobs act, lanciata da Maurizio Landini e appoggiata dal triumvirato della sinistra Schlein-Conte-Fratoianni, aveva visto la contrarietà dei riformisti (che semmai hanno avuto il torto di non formalizzarla in Direzione).

Ieri hanno rotto gli indugi: «Voteremo sì al referendum sulla cittadinanza e sì al quesito sulle imprese appaltanti.

Ma non voteremo gli altri tre quesiti, perché la condizione del lavoro in Italia passa dal futuro, non da una sterile resa dei conti con il passato». Firmato Giorgio Gori, Lorenzo Guerini, Marianna Madia, Pina Picierno, Lia Quartapelle e Filippo Sensi. Balza agli occhi un’assenza, quella di Stefano Bonaccini, l’antagonista di Schlein alle primarie, presidente del partito proprio in quanto capo della minoranza: oggi si potrebbe dire ex capo, sconfessato dagli esponenti di primo piano che hanno firmato la lettera a Repubblica dopo mesi di frizioni e fastidi da parte di molti della minoranza per la sua condotta considerata troppo sdraiata sulla segretaria.

Bonaccini, che finora non è stato chiarissimo su come voterà, non è certo rimasto contento dell’iniziativa di Picierno, Guerini e gli altri, che in effetti è inevitabile considerare come una sfiducia. La vicepresidente del Parlamento europeo, percepita da molti come l’anti-Schlein, ha detto al Corriere della Sera che «non serve una divisione nel mondo sindacale fondata sui tentativi di abiura e rimozione di una stagione politica e di governo», che è un modo elegante per sottolineare che i referendum di Landini che hanno spaccato il sindacato in tre (Cgil a favore, Uil per la libertà di coscienza, Cisl contraria e per l’astensione) costituiscono in sostanza una vendetta contro la stagione renziana di cui il Jobs act è uno degli atti più emblematici.

L’uscita allo scoperto dei riformisti segna un nuovo corso e rompe clamorosamente quell’unanimismo, più di facciata ma formalmente tale, che ha dominato i due anni di segreteria di Schlein, e prima di lei quella dei suoi predecessori: e dunque sarà da vedere se adesso la minoranza si comporterà da opposizione, strutturandosi e dandosi un percorso.

È inutile girarci intorno, la questione per i riformisti è di reggere la sfida e prepararsi a un congresso che potrebbe tenersi all’inizio dell’anno prossimo, giocandosela per evitare lo strapotere di Elly e dei suoi fedeli e conquistare una legittimazione politica importante, considerato che è davvero difficile pensare che la segretaria possa essere sconfitta nei circoli e nelle primarie.

Ma di qui ad allora troppe cose devono succedere. A partire appunto dall’esito di un referendum che sembra votato al fallimento per mancanza di quorum e in questo caso sarebbe grottesco se il gruppo dirigente dem se la cavasse dicendo che comunque hanno portato ai seggi un numero superiore a quello degli elettori della destra. Se non si raggiungerà il quorum, Schlein e Landini dovranno in qualche modo renderne conto, perché una sconfitta è una sconfitta e in passato le teorie sulla non vittoria non sono parse brillantissime.

La contro-reazione del gruppo dirigente alla sortita di Picierno, Guerini e gli altri è apparentemente tranquilla («Il partito è unito», come a dire: questi non contano niente) ma molti schleiniani privatamente già gridano al tradimento. E c’è un altro aspetto, tutto politico, che sarà interessante seguire, e cioè la capacità dei riformisti di aprire canali con forze esterne al Partito democratico che rientrano a pieno titolo nell’area del riformismo italiano.

In questo senso un primo passo sarà l’appuntamento milanese del 15 maggio quando si inaugurerà il Circolo Matteotti, una nuova casa del dibattito politico democratico, liberale e socialista (alla base dell’iniziativa c’è un articolato manifesto), quindi aperta ben oltre la componente riformista del Pd.

Tra gli altri parteciperanno proprio alcuni dei firmatari della lettera a Repubblica, come Picierno, Guerini, Quartapelle, e ancora Simona Malpezzi, ma anche Elena Bonetti di Azione, Benedetto Della Vedova di Più Europa, Lisa Noja di Italia Viva, più vari socialisti.

La lettera dei riformisti contrari al Sì ai referendum sul Jobs act è comunque un elemento di chiarezza nel dibattito interno del Partito democratico: un’area che già diverse volte si era appalesata, soprattutto al Parlamento europeo, su una posizione più nettamente filo-Ucraina, la cui consistenza nel partito è tutta da verificare. Ma di certo nel Partito democratico da ieri qualcosa è cambiato