una garanzia per tutelare il “diritto a non emigrare“, per usare la formulazione introdotta da papa Benedetto XVI e ripresa da papa Francesco,
Andrea Muratore 21.5. 2025 insideovr.com lettura4’
Le rimesse inviate all’estero dai lavoratori stranieri residenti in Italia sono in aumento e hanno sfiorato gli 8,3 miliardi di euro (+1,3% sul 2023) nel 2024. Parliamo di risorse a disposizione del reddito privato dei cittadini di altri Paesi che risiedono e lavorano in Italia e che vengono utilizzati per sostenere le famiglie rimaste in patria. A riportarlo è l’Ufficio studi della Banca d’Italia che ha analizzato quante risorse vengano inviate dagli stranieri verso i Paesi d’origine per rafforzare i redditi famigliari.
Le rimesse dei lavoratori stranieri residenti in Italia
I dati della Banca d’Italia segnalano che “quasi la metà delle rimesse inviate all’estero è arrivata dalle tre regioni più importanti in termini di flussi: Lombardia (21,9% del totale), Lazio (15,3%) ed Emilia-Romagna (10%)”, mentre sono le province di Napoli e Roma ad aver conosciuto gli incrementi maggiori anno su anno. Inoltre, Via Nazionale riporta che “nel 2024, i tre principali Paesi destinatari delle rimesse dall’Italia sono stati il Bangladesh, che ha ulteriormente aumentato la sua quota sul flusso totale al 16,9%, il Pakistan (7,2%) e il Marocco, che ha confermato la sua quota del 6,9%, superando di poco quella delle Filippine”.
Eccezion fatta per il Marocco, Paese che dopo la Romania è il secondo Paese per provenienza di immigrati in Italia (7,9% del totale, dietro alla Romania prima col 20,4% e davanti all’Albania terza col 7,8%), il peso dei Paesi alle prime posizioni si spiega soprattutto col contributo fondamentale dato dagli espatriati all’economia del Paese d’origine con le riserve. Peraltro, i dati potrebbero essere ancora più elevati dato che gli studi della Banca d’Italia ed elaborazioni come quella della Fondazione Leone Moressa hanno segnalato che, tramite canali informali di vario tipo, la quota totale possa aumentare di un valore compreso tra gli 1,2 e i 3,7 miliardi di euro.
Il totale fa 9,5-12 miliardi di euro presunti, una quota di denaro importante che per molti famigliari dei cittadini stranieri residenti in Italia può voler dire una differenza importante nelle condizioni di vita e dunque una garanzia potenziale contro la necessità di lasciare la propria casa.
Le conseguenze economico-sociali delle rimesse
Insomma, una garanzia per tutelare il “diritto a non emigrare“, per usare la formulazione introdotta da papa Benedetto XVI e ripresa da papa Francesco, di coloro che vogliono restare nel proprio Paese d’origine e con le rimesse dall’estero hanno la possibilità di ottenere questo obiettivo grazie ai sacrifici di chi in Paesi come l’Italia ha cercato fortuna. Per gli abitanti di Stati in via di sviluppo come il Bangladesh, il Pakistan e il Marocco oggi, così come la Romania, l’Albania e l’Ucraina ieri, un lavoro in Italia può creare un vincolo interfamigliare che si trasmette anche al rafforzamento dei rapporti tra il nostro Paese e quelli di origine degli stranieri.
Le rimesse degli immigrati, dunque, rappresentano sia uno strumento di creazione di legami economici virtuosi tra Roma e diversi Paesi strategici sia una soluzione in profondità alla questione migratoria, dato che ne permettono una razionalizzazione consentendo al Paese di gestire le emergenze e di potersi permettere di pensare a politiche più mirate, come l’attrattività di professionisti e figure qualificate per rafforzare il capitale umano dell’Italia coi flussi in entrata.
L’attacco di Cisint (Lega)
Stupisce, dunque, che a criticare questa misura sia stata un’eurodeputata della Lega, Anna Maria Cisint, ex sindaca di Monfalcone, città del Friuli Venezia-Giulia nota per i cantieri navali in cui risiedono poco meno di 30mila persone, un terzo circa delle quali di origine straniera e 4.700, secondo i dati di Neodemos, del Bangladesh, primo per la ricezione di rimesse all’estero.
Cisint, commentando i dati, ha in maniera fuorviante dato per buono non il dato della Banca d’Italia, 8,3 miliardi di euro, ma quello più elevato delle stime sulla somma tra le rimesse ufficiali e quelle informali, 12 miliardi di euro, commentando che questo rappresenta “una vera e propria emorragia economica che drena ricchezza dal nostro sistema e la riversa all’estero, mentre nelle nostre città i Comuni si fanno carico dei servizi, dei sussidi e delle spese legate a queste stesse famiglie”.
Per l’eurodeputata del Carroccio, sostenitrice della lotta dura all’Islam radicale e della “remigrazione”, un livello così alto di rimesse all’estero “erode le finanze degli enti locali e lascia il territorio senza reale ricaduta economica” e renderebbe necessario un piano nazionale per il controllo delle rimesse e un monitoraggio del Welfare dato a chi non restituirebbe nulla al territorio.
Una critica mal posta
La lettura della politica friulana è fuorviante: lo è per il fatto che il collegamento tra rimesse e servizi erogati agli stranieri è strumentale. Le rimesse sono inviate dagli stranieri facendo leva sul reddito disponibile dopo il pagamento delle imposte che finanziano i servizi, dunque con il denaro di cui ogni cittadino può fare libero uso. Nessun servizio di Welfare o assistenza erogato a cittadini stranieri è condizionato, nella decisione se concederlo o meno, dal fatto che questi inviino o meno risorse economiche all’estero, ma dal tenore di vita che il lavoro che alimenta le rimesse stesse consente di avere e dal rischio di esclusione sociale.
En passant, appare strano che un membro della Lega, partito a favore della libertà d’impresa e ostile a molte forme di controllo sull’uso del denaro (come la lotta al contante), intenda farsi promotore di un controllo sul movimento di cifre singolarmente ridotte mosse da cittadini a reddito generalmente medio-basso. Detto in un concetto, non è forse caro alla Lega di cui Cisint è membro di spicco il principio secondo cui, pagate le imposte, ognuno del proprio denaro dovrebbe fare ciò che gliene pare? E non sarebbe problematico condizionare in questa scelta i lavoratori stranieri, penalizzando la possibilità di inviare riserve? L’idea dello Stato che mette le mani nel portafoglio dei cittadini si riproporrebbe, creando un precedente certamente poco gradito agli elettori del Carroccio.
Inoltre, proprio di recente il ministro dell’Interno del governo Meloni di cui la Lega fa parte, Matteo Piantedosi, si è recato in visita in Bangladesh per incontrare a Dacca il ministro degli Espatriati Asif Nazrul e completare la firma di un protocollo d’intesa, il Memorandum interministeriale Migrazione e Mobilità, volto a favorire l’ingresso in Italia di lavoratori regolari e contrastare il traffico d’esseri umani e chi sfrutta l’immigrazione clandestina. Segno che il dialogo tra Stati va oltre ogni semplificazionismo.
I rischi del nativismo
Incentivare una retorica nativista o nazionalista su un dato che riguarda la sfera privata dell’economia famigliare e domestica, i rapporti tra expat e residenti dei Paesi d’origine che sperano nelle risorse provenienti dall’Occidente e potenzialmente il soft power italiano in Stati dalla crescente rilevanza economica e geopolitica, rischia di remare contro l’interesse dell’Italia. E danneggiare quel “diritto a non emigrare” che renda la decisione di lasciare il proprio Paese non tanto una necessità dettata da disperazione o ricerca di prospettive di vita migliori di fronte a problematiche insostenibili in patria quanto piuttosto una libera, consapevole scelta non forzata. Qualche centinaio di euro al mese mandato da stranieri (del Bangladesh o altri Stati) residenti in Italia nei Paesi d’origine può aiutare più di molta retorica fine a sé stessa.