La sconfitta dell’ennesimo tentativo di riformare la Costituzione dal governo forse potrebbe avere anche conseguenze positive,
La Linea Francesco Cundari 4 Novembre 2025 linkiesta.it lettura2’
scrive Francesco Cundari nella newsletter “La Linea”. Arriva tutte le mattine dal lunedì al venerdì più o meno alle sette
Scrivo una newsletter che si chiama la Linea – non il Punto, non Panorama e tantomeno (il cielo me ne scampi) la Notizia – ma sulla principale questione politica del momento, su cui ragionevolmente si decideranno le sorti di questa e anche della prossima legislatura, il referendum sulla riforma della giustizia, non riesco a dare una linea nemmeno a me stesso. Ho anche provato a delegare la questione ai lettori, come i più fedeli tra voi certamente ricorderanno, ma non è stato di alcun aiuto. Del resto, quando mai la democrazia diretta per via digitale è servita a qualcosa?
Paradossalmente, vedere che i miei timori erano condivisi da molti ha solo aumentato la mia confusione (voi però non demordete, c’è sempre tempo per cambiare idea, l’indirizzo è: Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo.).
Il fatto è che nel merito sarei favorevole alla separazione delle carriere, ma guardo con angoscia sia al modo in cui questa destra tenta di assoggettare la magistratura, e ogni altra autorità o contropotere che non possa occupare direttamente, sia alle conseguenze politiche immediate di una vittoria del Sì: l’idea di cominciare la nuova legislatura con Giorgia Meloni o magari in subordine Ignazio La Russa al Quirinale, sinceramente, non mi lascia tranquillo.
Queste considerazioni mi avevano fin qui spinto a propendere, se non proprio per il No – non dopo aver sentito Nicola Gratteri parlare di riforme «imputatocentriche» (e questi sarebbero quelli che vorrebbero difendere la Costituzione?) – almeno per il non voto.
La tragedia è che pure le dirette conseguenze politiche di una vittoria del No non sarebbero certo rose e fiori. Il trionfo della corporazione dei magistrati e dei giornalisti-mazzieri schierati al suo fianco, e di tutte le correnti populiste e giustizialiste del centrosinistra, dal Movimento 5 stelle alle peggiori anime del Pd: uno scenario tale da farmi correre a votare Sì. In compenso, tuttavia, dall’ennesima sconfitta del tentativo di riformare la Costituzione dal governo, con il chiaro obiettivo di ricavarne una scorciatoia per fare cappotto, stravincere e mettersi sotto i tacchi alleati e avversari, potrebbe venire anche un’utile lezioni a tutte le forze politiche e all’intero sistema.
La vittoria del No segnerebbe infatti quasi certamente il futuro dell’orrenda riforma del premierato, e sarebbe un sollievo non da poco, e forse, oso sperare, anche uno stop a questo modo irresponsabile di piegare ogni volta riforme costituzionali e leggi elettorali alle ambizioni e ai capricci dei leader. Se la vittoria del No fosse il colpo inatteso che riequilibra i pesi in campo e costringe tutti a uscire da questo trentennale delirio di ingegneria istituzionale di fazione, riaprendo la possibilità di un ritorno a una logica realmente parlamentare (e proporzionale) del sistema, ecco, questo sì che sarebbe un esito niente male. Ma io mi sa che resterò a casa lo stesso.