che ha ereditato i peggiori difetti delle culture cattoliche e comuniste
Chicco Testa 12.11. 2025 alle 11:26 lettura3’
Il PD ha un futuro? Dipende dalle ambizioni. Se l’ambizione è quella di governare questo paese per migliorarlo e conquistare un ruolo nello spazio europeo e internazionale, non vedo alcuna possibilità di successo. Se invece l’ambizione è quella di contare numericamente assemblando ciò che più di un campo largo sembra una confusa ammucchiata, può anche darsi che l’ambizione si realizzi. Ma i dubbi che questo possa costituire un vantaggio per il Paese rimangono. Anzi, se il campo largo dovesse conquistare il Governo, produrrebbe il rischio di un grave arretramento sia sul piano interno che in quello internazionale.
Il campo largo e le molteplici contraddizioni
Sarebbe esercizio sin troppo facile quello di elencare le molteplici contraddizioni che attraversano la potenziale coalizione. Alcune delle quali sono in grado di marginalizzare il nostro Paese. È evidente che l’unico collante che può unire il cosiddetto campo largo è l’avversione per l’attuale governo, dipinto con le tinte fosche di un camuffato erede di tendenze autoritarie. Ma, senza scomodare il campo largo, lo stesso PD è lo specchio in un solo partito di questa totale confusione di idee. Tra i dem si trovano in una difficile convivenza tutte le posizioni che costituiscono pezzi delle più diverse forze. Un po’ di riformismo, oggi minoritario, erede della stagione renziana e della migliore storia del PCI; un po’ di pacifismo verde e di sinistra-sinistra; un po’ di ricorso senza limiti alla spesa pubblica per uno stato sociale modello 5 stelle e una collocazione internazionale poco euroatlantica, erede dell’antiamericanismo dei bei tempi passati.
I peggiori difetti delle culture cattoliche e comuniste
L’attuale PD racchiude in sé i peggiori difetti delle culture politiche cattoliche e comuniste da cui proviene, senza averne ereditato i pregi. In primo luogo l’identitarismo: il concepirsi come parte separata e diversa rispetto alla società italiana. Un riproporsi di quella postura assunta da Bertinotti quando citò il Vangelo di Marco durante il Comitato Centrale del PCI che doveva decidere sulla svolta proposta da Occhetto: “I comunisti stanno in questo mondo, ma non sono questo mondo”. Una posizione identitaria per differenziarsi dal populismo pentastellato. Una differenza morale, un sentirsi “migliori”, ma allo stesso tempo perennemente smentiti dai molti casi di malaffare che coinvolgono suoi esponenti. Corollario di questa scelta è l’appoggio incondizionato alle posizioni della magistratura militante con un deciso passo indietro rispetto al periodo renziano, dimostrando così di non avere imparato nulla dal passato.
Altro capitolo è la strutturale sottovalutazione dello stato dei conti pubblici, continuamente aggrediti da posizioni sì nobili, la sanità per esempio, ma senza alcuna considerazione per l’impatto sul debito. A ciò si aggiunge l’assenza di una qualsiasi riflessione sul blocco della crescita del Paese. La parola stessa, crescita economica, è da anni praticamente assente da ogni presa di posizione. Con una postura che ricorda piuttosto certe nostalgie anticapitaliste e una avversione per la ricchezza di imprese e individui, a cui richiedere un sempre maggiore contributo fiscale. L’adesione incondizionata alle versioni più estremistiche del green deal, per puri motivi ideologici, ha portato il PD a trascurare l’impatto sociale sul proprio corpo elettorale. È evidente come esso abbia rappresentato un costo ulteriore per le fasce più deboli oltre che un handicap per la competitività del sistema produttivo.
Infine il correntismo esasperato di gruppi e sottogruppi, la nascita di potentati locali e di un trasformismo opportunistico pur di raggranellare voti, accompagnato da un leaderismo senza controlli e dibattito. “Allora tenetevi Lollobrigida” esclama qualcuno. No, la povertà della classe dirigente di centrodestra è sotto gli occhi di tutti. Forse il punto in cui il sovranismo protezionistico si fa più marcato e controproducente. Oltre ad inutili esibizioni di muscoli nel volere reprimere comportamenti “irregolari” talvolta per puri motivi ideologici attraverso la via giudiziaria.
Il campo largo non è il meno peggio…
È bene parlarci chiaro. Se si guarda all’interesse del Paese, al Governo Meloni vanno riconosciuti tre punti determinanti: la postura in politica internazionale con l’appoggio dato agli ucraini, la mancanza di isterismo nei confronti di Israele e la tenuta dei conti pubblici che fanno sì che l’Italia non sia più il malato d’Europa. Non avessimo sulle spalle la zavorra del famigerato 110%, forse la peggiore eredita del Governo Conte 2 con partecipazione PD, potremmo quasi essere in zona comfort. Aggiungiamo la riforma della giustizia che non è poca cosa. Siccome ormai da tempo abbiamo imparato che l’unica scelta possibile è il meno peggio, il campo largo è molto lontano dall’apparirci tale.
Articolo pubblicato in contemporanea su Civiltà Socialista, rivista di politica, economia e cultura