Se immigrazione è sempre stato d’eccezione. Ma ora ?

Categoria: Italia

L’epurazione sul barcone, lo scaricabarile di Bruxelles, il ruolo italiano. L’impazzimento inefficiente del modello Italia, comunque, non stupisce oltremodo.  

di Redazione | 16 Aprile 2015 ore 20:24 Foglio

Storicamente l’Italia, uno degli ultimi paesi europei a essersi trasformato in una classica mèta d’immigrazione, è riuscita a ispirarsi poco e male alle vicende degli altri paesi che l’avevano preceduta in questa esperienza. Soprattutto, un po’ per l’indisciplina istituzionale un po’ per il clima ideologico imperanti, in Italia non è stato mai pienamente accettato che quello dell’immigrazione fosse ambito degno di essere affrontato con politiche razionali (policy), non solo con la continua rissa politica o l’emotività in servizio permanente effettivo (politics). Figurarsi, per dire, cosa succederebbe in Italia se si replicassero eventi come quelli francesi di questi giorni, con la Corte dei Conti di Parigi che ha appena giudicato “non sostenibile nel breve termine” il sistema di accoglienza e ospitalità dei richiedenti asilo nel paese. Da noi, discorsi sulla contabilità fiscale che riguarda l’immigrazione sono per definizione bollati come “sciacallaggio” o “populismo”; finché ci si accorge, adesso, che pure istituzioni come le regioni cominciano a opporre resistenze striscianti alle nuove esigenze di accoglienza cui Roma chiede di far fronte.

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L’impazzimento inefficiente del modello Italia, comunque, non stupisce oltremodo. Piuttosto l’incrudimento delle crisi politica e umanitaria sulla sponda meridionale del Mediterraneo fa temere anche per la tenuta dell’architettura europea, con la sua aura di efficienza burocratica e di umanitarismo giurisdizionale cui finora ci si appellava contro il governo nazionale di turno. Giovedì dalla Commissione Ue è venuta un’ammissione pesante: “Non abbiamo i finanziamenti né il sostegno politico per creare un sistema di guardia di frontiera europea”. Segreto di Pulcinella, si dirà, ma sentirlo scandito in maniera tanto stentorea fa un altro effetto. Specie se accade in un momento in cui la guardia costiera italiana ha tratto in salvo, in meno di una settimana, quasi 10 mila persone rimaste in mezzo al mare mentre tentavano la traversata illegale. Con dettagli ulteriormente tragici di cui veniamo a conoscenza in queste ore: l’epurazione di alcuni immigrati cristiani che sarebbero stati gettati in mare – durante un viaggio – da altri immigrati musulmani. Il ministro degli Esteri, Paolo Gentiloni, giovedì ha evocato “attività mirate” in funzione di contenimento del fenomeno; di fronte agli enormi flussi di persone annunciati, speriamo che ciò torni utile.  Ma siamo pur sempre allo stato d’eccezione. Ragionare sulla validità delle politiche migratorie di lungo termine, incluse quelle in essere, sarebbe più utile, per quanto difficile. Partendo per esempio da quanto rivelato giovedì, al Telegraph, da un ex funzionario dello Uk Immigration service britannico: gli scafisti criminali che partono dal nord Africa fanno ormai un tale affidamento sulla rete di raccolta formata dalle nostre navi militari nell’ambito delle operazioni Mare Nostrum/Triton, da impiegare delle quantità di carburante nemmeno sufficienti all’intera traversata; gli scafisti preferiscono avviare contatti diretti con le autorità italiane, così da far gestire a loro buona parte della traversata. E poi c’è ancora chi dice che l’attuale regime normativo, stabilito dai nostri governi, non incentiva anch’esso le tragiche rotte.