Che cosa rischia il Pd alla prova di fiducia?

Categoria: Italia

Lo strappo di Renzi e le vere mosse della minoranza (uscire dall’Aula, non votare contro). Appunti per capire che succede

di Claudio Cerasa | 28 Aprile 2015 ore 19:38 Foglio

E’ stato un giorno cruciale oggi alla Camera: il segretario del Pd, Matteo Renzi, ha scelto di utilizzare le maniere toste per portare a termine il processo di approvazione della legge elettorale. E, nemmeno troppo a sorpresa, ha deciso di chiedere la fiducia nelle ultime votazioni previste tra questa settimana e la prossima sull’Italicum. La richiesta di fiducia arriva per una ragione che Renzi ha spiegato più volte in questi giorni: il presidente del Consiglio sa che cambiare anche una sola virgola dell’Italicum alla Camera significherebbe riportare il testo della legge elettorale al Senato, dove la maggioranza renziana è più fragile, e volendo a tutti i costi approvare la legge prima delle regionali (o quanto meno, gran parte di essa) ha scelto per questo di blindare, come si dice, il testo e chiedere la fiducia ai suoi parlamentari. Le reazioni sono state molto colorite e altrettanto toste.

E la minoranza del Pd, che già era uscita dall’Aula dei gruppi parlamentari a fine marzo quando il segretario del Pd chiese ai suoi deputati di votare il testo attuale sull’Italicum, ha detto esplicitamente che non voterà la fiducia al governo. Lo ha detto l’ex segretario Bersani. Lo ha detto il capogruppo dimissionario Speranza. Significa che il governo cadrà? Significa che una scissione è alle porte? Non proprio. Non votare la fiducia – come apprende il Foglio da fonte diretta del Pd e coinvolta in queste ore in primo piano nell’opposizione a Renzi – significa uscire dall’aula per non votare la fiducia e così faranno tutti i principali esponenti della minoranza Pd, che vogliono soltanto dare un segnale di dissenso ma non far cadere il governo. In caso contrario, infatti, non votare la fiducia significherebbe uscire quasi automaticamente dal Pd e provare a far cadere il governo.