Legge elettorale: più che il futuro del paese, sono in gioco gli interessi

Categoria: Italia

I politici (chi più, chi meno; ma tutti i politici) fanno le loro battaglie, che sono quasi sempre solo di interesse, agitando i massimi princìpi. Chiamano perciò i loro iscritti, votanti o anche solo simpatizzanti, all'impegno totale

 di Pierluigi Magnaschi , Italia Oggi 29.4.2015

 Annunciano che, in caso di tiepidezza nell'impegno, succederanno sfracelli. Visto che la dittatura è dietro l'angolo. E il turbo capitalismo, pure. Non si rendono conto che il giochino, dopo 70 anni di prese in giro, si sta sgonfiando rapidamente. La gente infatti ha mangiato la foglia (e anche il fittone, se è solo per questo). Non a caso, quasi il 70% degli elettori ha già voltato le spalle a queste manfrine.

Gli elettori inappetenti sono dati dalla somma dei non votanti, più i votanti M5s, più i votanti Lega. Sono elettori diversi, certo, ma essi sono anche uniti nel rifiuto del panorama politico esistente. Certo, essi danno delle risposte semplificate e non risolutive. Anzi, spesso, esse sono, oggettivamente, pericolose ma essi comunque esprimono soprattutto il rifiuto per la politica politicante che, non solo li ha emarginati e non tiene più conto delle loro necessità, ma non li conosce neppure. Un caso fra tutti: per la presentazione dell'ultimo film di Walter Veltroni, il regista Pd è riuscito a riempire l'immenso Auditorium romano di Renzo Piano, ma, fra lo sterminato pubblico, non c'era un operaio. Vorrà pur dire qualche cosa, a proposito della crisi di rappresentanza. Qui, oggi, tutto è cupola o, quanto meno, sommità.

Che i politici non esprimano più valori ma solo convenienze (occasionali, per di più) lo dimostra la battaglia in corso alla Camera per l'approvazione della legge elettorale. Il fatto più sconvolgente è che Forza Italia, che ha approvato al Senato lo stesso testo che oggi è strattonato alla Camera bassa, si presenti alla Camera gridando ai rischi che si corrono se il testo (ripeto: da essa approvato al Senato) venisse confermato alla Camera. Il capogruppo di Forza Italia alla camera, Renato Brunetta, ha precisato, in un'intervista al Corriere della Sera, che «il combinato disposto tra la riforma elettorale (approvata, ripeto da Fi al Senato) e la riforma del Senato (approvata anch'essa da Fi) rappresenta il rischio di una deriva autoritaria».

Cioè, per Brunetta e il suo gruppo, con l'approvazione di questa legge elettorale, il fascismo sarebbe dietro la porta, in attesa di entrare. Brunetta prosegue: «Le due leggi (entrambe già approvate da Fi, ndr) sono il segno di un Renzi che vuole di se stesso un uomo solo al comando». Vuol cioè fare il Mussolini.

Ma allora perché Forza Italia ha già approvato i due provvedimenti che introdurrebbero in fascismo in Italia, tra l'altro, a vantaggio di un occasionale avversario che resta comunque, pur sempre, un concorrente? Brunetta risponde inconsapevolmente con la logica, tipicamente veneta, di pèso el tacòn del buso, peggio la toppa del buco nel vestito, dicendo: «Noi di Fi avevamo ceduto (nell'approvazione della riforma del Senato e della legge elettorale, ndr) perché c'era un accordo col Pd che comprendeva soprattutto l'elezione condivisa del successore di Giorgio Napolitano. E Renzi, rifiutando Giuliano Amato al Quirinale, questo accordo l'ha tradito».

Proviamo a dipanare il terrificante ragionamento di Brunetta e quindi anche del partito che lui rappresenta. Primo: la legge di riforma del Senato e quella elettorale sono l'anticamera dell'uomo solo al comando, cioè del fascismo in Italia. Secondo: se Renzi avesse concorso con noi all'elezione di Amato anziché di Mattarella, avremmo approvato senza fiatare le due leggi da noi (oggi) giudicate liberticide. Terzo: se Renzi avesse eletto al Colle l'uomo tra noi concordato (Amato), allora avremmo approvato senza fiatare le due leggi fasciste.

Lo stesso discorso lo si può fare nel centrosinistra, sempre a proposito della nuova legge elettorale. Uno dei punti più avversati dalla minoranza Pd, è il premio di lista anziché di coalizione. Ebbene, fra i sostenitori del referendum indetto nel 2007 da Mario Segni e Giovanni Guzzetta, per sostituire il premio di lista a quello di coalizione (cioè l'esatta proposizione che introdurrebbe la legge elettorale proposta da Renzi), c'era anche Gianni Cuperlo che adesso si straccia le vesti perché Renzi gli concede quello che lui aspirava di avere tramite referendum. E che dire di Pier Luigi Bersani che si batteva contro le preferenze perché considerate uno strumento di inquinamento nella selezione delle élites politiche da parte dei grandi poteri organizzati quando non, in certe aree, della criminalità organizzata e adesso invece vede come il fumo negli occhi la designazione dei capilista? E come mai, nella passata elezione politica, quindi per la formazione di questo Parlamento, Bersani (che allora era segretario del Pd) utilizzò a man bassa la possibilità di nominare personalmente i suoi uomini in parlamento (i cosiddetti nominati) lasciando a Renzi un minuscolo manipolo di uomini suoi? Allora, la possibilità di nominare i parlamentari (e non solo i capolista) era un bene perché questo potere era detenuto da Bersani, mentre ora che questo potere è passato di mano e finito a Renzi, allora il diritto diventa, solo per questo, un abuso, anche se è addirittura più limitato che in precedenza?

Che democrazia è mai questa che, per riuscire a capire se un comportamento è illegittimo, non lo si valuta di per sé, ma si vuol sapere prima chi lo ha compiuto?

Pierluigi Magnaschi