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Categoria: Italia

Bipartitismo bye bye. Populismi inconcludenti. Niente più maggioranze. Appunti oltre il voto inglese

Ed Miliband e David Cameron (foto LaPresse)

di Claudio Cerasa | 08 Maggio 2015 ore 06:18 Foglio

Guardiamoci bene negli occhi e non facciamo finta di nulla. In Germania ormai funziona così da tempo. In Italia funziona così ormai da quattro anni. In Grecia ha funzionato così fino a qualche mese fa. In Olanda, Belgio, Estonia, Repubblica ceca, Austria, Romania ci sono governi anomali, nati da una spinta altrettanto anomala, con cui la politica deve fare i conti. In Europa, al Parlamento europeo, dopo le ultime elezioni l’anomalia è stata certificata da una grande coalizione tra le due grandi famiglie politiche del continente (Pse e Ppe). In Spagna, con Podemos e i Ciudadanos, lo scenario presto si potrebbe ripetere. Nel più europeo dei paesi del medio oriente, Israele, la situazione è simile e un “patto del Nazareth”, tra destra e sinistra, un domani non sarà più un’ipotesi così fuori dal mondo, se il nuovo risicato governo Netanyahu non dovesse funzionare. E anche oggi i risultati delle elezioni inglesi (bye bye bipolarism, bye bye bipartitism) saranno fortemente condizionati da un fenomeno che sarebbe pigro inquadrare sotto la semplice categoria della “frammentazione”. Insomma, che diavolo sta succedendo? E perché, oggi, per riuscire ad avere un governo che sappia sopravvivere alla disintegrazione dei vecchi partiti c’è chi sceglie di forzare il sistema (vedi la Francia, vedi l’Italia) mettendo in campo leggi elettorali che, in nome della governabilità, arrivano a tradire la rappresentanza reale delle forze in campo?

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 I banalotti si limiterebbero a dire che non c’è più destra e sinistra (yawn) e che la crisi dei partiti ha semplicemente prodotto frammentazione. La risposta però è sbagliata, e per diverse ragioni. La prima, ovvia, è che non è vero che non esistono più destra e sinistra ma esistono modi diversi di interpretare le vecchie ideologie del Novecento. La seconda, meno ovvia, è che tutti coloro che hanno provato a colmare lo spazio lasciato sguarnito dai vecchi partiti lo hanno fatto – indovinate come? – creando altri partiti strutturati in modo sostanzialmente identico a quelli passati. Il grande disordine politico che porta spesso alla formazione di grandi coalizioni in giro per l’Europa deriva poi da alcuni fattori che possiamo mettere in fila e che meritano di essere approfonditi. Dal punto di vista elettorale, i partiti che hanno intenzione di governare sanno che per avere un consenso non volatile devono rivolgersi a un elettorato centrale nel paese, e non estremista, e alla fine su molti temi, soprattutto quelli economici sui quali specie in Europa c’è poco margine di manovra, conta più la credibilità nel portare a termine un programma che la natura dello stesso programma. Per i partiti che fanno parte dell’Eurozona, come si vede dal fallimento di Syriza in Grecia, politiche alternative a quelle proposte dalla Banca centrale europea – che sono poi le politiche che in modo più o meno esplicito vengono messe in campo da tutti i paesi che fanno parte dell’Eurozona (Italia compresa) – possono avere una loro dignità solo nel momento in cui si decide di uscire dal perimetro dell’euro. E da questo punto di vista il vero bipolarismo non è più destra o sinistra ma è euro sì o euro no (o, in alcuni casi, Europa sì, Europa no). Persino sulle politiche di austerity, come dimostra la campagna elettorale inglese, i partiti che vogliono governare sono costretti a fare i conti con il principio di realtà – e come lo stesso Ed Miliband ha riconosciuto non possono più permettersi di dire “no all’austerity” ma, in un’èra in cui semplicemente di soldi in giro ce ne sono pochi, possono mettere in campo un modello diverso di austerity, al massimo possono proporre soluzioni diverse per poter spendere i soldi risparmiati.

La storia inglese, infine, è significativa anche per altre ragioni che ci portano a riflettere sulle cause e le conseguenze di quella che potremmo chiamare l’èra politica delle Supernova: la domanda e l’offerta. La domanda che cambia non è infatti solo la conferma della trasformazione finale e forse letale dei partiti di massa ma è anche indice di un elettorato che, calibrando le proprie scelte più sulla credibilità dei leader che su quella dei partiti, di fronte a molti candidati spendibili tende sempre di più a diversificare l’offerta. Quanto all’offerta, invece, i risultati dei fenomeni descritti sono da un lato il naturale e progressivo avvicinamento (nazarenico, ça va sans dire) di partiti un tempo molto distanti e dall’altro la capacità delle nuove alternative di combinare davvero qualcosa. E qui, se vogliamo, casca l’asino. Basta osservare l’incapacità dei partiti alternativo-populistici di mettere insieme le proprie forze dopo le elezioni europee (zero). Basta osservare l’incapacità dei partiti più radicati sul territorio (il 5 stelle, tipo) di ottenere risultati in Parlamento. Basta osservare, per quelli che ce l’hanno fatta, l’impossibilità di mantenere le promesse fatte in campagna elettorale (Syriza). La democrazia parlamentare, dunque, non produce più maggioranze assolute, ma le alternative, per come sono nate, non hanno nel loro Dna i geni necessari per capitalizzare i risultati dell’esplosione dei partiti tradizionali. E non potendo fare quello che contestano ai loro nemici, ovvero le grandi coalizioni, hanno solo un’unica e remota possibilità per affermarsi: vincere le elezioni. Possibilità però assai remota, che costringerebbe (Syriza docet) i teorici dell’estremismo a fare i conti con il principio di realtà. E non è certo un caso, dunque, che i figli della Supernova sognino leggi elettorali che gli consentano, per non fare la fine che fa ha ogni elezione in Francia la famiglia Le Pen (zeru tituli, grazie al doppio turno e a un bipolarismo coatto), di pesarsi più che di contarsi.