Cdp, magistrati e banche: i problemi di Renzi con la sinistra di potere

Categoria: Italia

Il blitz contro Bassanini è un attacco contro il ministro Delrio. I malumori di Prodi e Letta. Il momento più difficile della legislatura renziana

Alessandro Da Rold e Marco Sarti LINKIESTA 18.6.2015

È il momento più delicato della legislatura. Ne è convinto anche il premier Matteo Renzi che alcuni giorni fa, senza troppi giri di parole, ha spiegato la difficile situazione ai deputati del Partito democratico. Il presidente del Consiglio assicura che non si tornerà al voto prima del 2018. Nel Palazzo più di qualcuno coltiva legittimi dubbi. Di certo il destino del governo è a un punto di svolta. E non solo per i deludenti risultati alle amministrative e le difficoltà nell’approvare le riforme. «A forza di attaccare tutto e tutti, il potere gli si è rivoltato contro» spiega un attento analista della politica italiana. Come in un lento accerchiamento, adesso un intero sistema sembra muoversi contro il premier.  Il «potere» contro cui sta andando a sbattere il rottamatore fiorentino è tutt’altro che distante. È quello vicino al centrosinistra, custode dei gangli che regolano i rapporti di forza con il mondo dell’economia, della politica, delle banche, quello sociale, dei sindacati e soprattutto della magistratura. L’ultimo caso riguarda la Cassa Depositi e Prestiti presieduta da Franco Bassanini, dove il tentativo di un blitz in consiglio di amministrazione per cambiare i vertici è rimasto incompiuto. Ma in passato c’è stata la questione Corriere della Sera, dove in un tira e molla generale alla fine a spuntarla è stato l’asse Ferruccio De Bortoli-Giovanni Bazoli, che hanno imposto come direttore Luciano Fontana. «Assalto mancato», l’hanno definito i conoscitori del sistema, perché nelle speranze di Renzi c’era l’idea di poter piazzare un direttore più vicino a Palazzo Chigi. Ma Bazoli, amico fraterno dell’ex premier Romano Prodi, tra i più potenti banchieri in Italia, attuale presidente del consiglio di sorveglianza di Intesa San Paolo, zio del deputato democratico Alfredo, ha dimostrato di poter resistere agli assalti del rottamatore.

Ma in passato c’è stato il caso del Corriere della Sera, dove in un tira e molla generale alla fine a spuntarla è stato l’asse Ferruccio De Bortoli-Giovanni Bazoli, che hanno imposto come direttore Luciano Fontana

Lo stesso discorso vale per i destini di Cdp, tesoretto da 250 miliardi di euro su cui palazzo Chigi vorrebbe mettere le mani per aiutare diverse aziende in crisi, tra cui l’Ilva di Taranto. Il punto è la modifica dello statuto e l’autonomia stessa della Cassa. Ma Bassanini non è un ex politico qualunque. Anche lui amico di lunga data di Prodi, marito di Linda Lanzillotta, costituzionalista da sempre a sinistra, vanta persino un asse di ferro con un esponente dell’attuale governo, quel Graziano Delrio ministro alle Infrastrutture. Scontrarsi con Bassanini significa inimicarsi un mondo con cui il centrosinistra ha avuto spesso a che fare, quello delle amministrazioni locali e territoriali, in particolare le Fondazioni Bancarie, presiedute da un «arzillo vecchietto» (copyright Camilla Conti) come Giuseppe Guzzetti, altro «orologiaio» del potere in Italia, proprio come Bazoli e Prodi. Non è un caso che, secondo un retroscena di Dagospia, Bassanini abbia detto a Renzi che non si sarebbe dimesso se non glielo avessero chiesto le fondazioni, le quali detengono il 18.5% di Cdp. I problemi, alla fine, sono sempre interni. Lo stesso Enrico Letta, ex presidente del Consiglio defenestrato a inizio 2014, lo ha spiegato in una piccola intervista al Fatto Quotidiano: «È un errore da matita rossa quello che Renzi sta facendo su Cassa Depositi e Prestiti: Cdp non è un ministero».

Nel frattempo la vicenda di Mafia Capitale rischia di aprire un altro fronte interno al Pd. Dopo aver difeso il sindaco Ignazio Marino, il premier ha invertito velocemente rotta. «Se sa governare vada avanti - ha spiegato Renzi l’altra sera durante un’intervista a Porta a Porta -  altrimenti torni a casa». È la risposta del leader a una situazione che rischia di diventare insostenibile. Pur estraneo alle inchieste della magistratura, ormai il sindaco chirurgo è sempre più solo. Tra i democrat cresce la paura che un nuovo capitolo giudiziario possa travolgere la sua giunta, finendo inevitabilmente per colpire anche l’immagine del partito. Anche per questo da Palazzo Chigi sarebbe cominciato il pressing per convincere Marino a fare un passo indietro. Peccato che il cambio di registro abbia spiazzato Matteo Orfini, presidente del partito e commissario del Pd cittadino, da giorni apertamente schierato a difesa del sindaco. E adesso pubblicamente smentito dal suo segretario.

Sullo sfondo restano le indagini della magistratura. E non solo quelle legate alla Capitale. All’interno della maggioranza qualcuno punta il dito contro una presunta offensiva finalizzata a indebolire l’esecutivo. Una serie di inchieste a orologeria indirizzate verso l’anello debole della coalizione: il Nuovo Centrodestra di Angelino Alfano. Difficile dare credito a queste ricostruzioni. Eppure colpisce la frequenza delle vicende giudiziarie che hanno interessato il piccolo partito del ministro dell’Interno (decisivo per gli equilibri al Senato). È il caso dei recenti avvisi di garanzia al sottosegretario Giuseppe Castiglione e al presidente della Commissione Bilancio di Palazzo Madama Antonio Azzollini. Senza dimenticare le inchieste che hanno portato alle dimissioni di Maurizio Lupi (neppure indagato nella vicenda Grandi Opere). Ma non ci sono solo i poteri forti e la magistratura. Il braccio di ferro tra Renzi e la minoranza del Partito democratico rischia di rallentare ulteriormente l’iter delle riforme. La grande scommessa del premier. A Palazzo Madama lo scontro sulla Buona scuola - con tanto di minaccia renziana sulla mancata stabilizzazione dei precari - è solo l’ultima puntata dello scontro. Un ritardo dopo l’altro, adesso qualcuno teme che anche la riforma costituzionale potrebbe subire un altro stop. La terza lettura al Senato doveva chiudersi entro luglio, potrebbe slittare dopo l’estate.

Eppure colpisce la frequenza delle vicende giudiziarie che hanno interessato il piccolo partito del ministro dell'Interno (decisivo per gli equilibri al Senato)

Fuori dal Palazzo le polemiche sulla scuola hanno finito per creare nuovi oppositori al premier. Tutti avversari storicamente legati al centrosinistra. Ci sono i sindacati, con cui pure i rapporti non sono mai stati particolarmente positivi. Ma soprattutto ci sono gli insegnanti, in gran parte sempre più critici nei confronti del governo. Qualcuno ha addebitato proprio a queste vicende i deludenti risultati alle ultime amministrative. Probabilmente le sconfitte in Liguria e a Venezia hanno motivazioni più profonde. Di certo l’incantesimo delle Europee 2014 - quando il Partito democratico aveva ottenuto il 40 per cento alle urne - sembra svanito. Dopo un anno e mezzo a Palazzo Chigi, la popolarità del premier inizia a fare i conti con le responsabilità di governo. Lo confermano i tanti astenuti all’ultima tornata elettorale (ormai un italiano su due ha preferito rimanere a casa). Ma anche i sondaggi sul gradimento del presidente del Consiglio, che i bene informati assicurano essere ai minimi storici. La partita resta aperta, è presto per celebrare la sconfitta di Renzi. La grande scommessa del premier rottamatore non è ancora persa. Ma il destino politico del suo governo si deciderà a breve. In quello che anche a Palazzo Chigi, ormai, descrivono come «il momento più difficile della legislatura».

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