Renzi e la necessità di sotterrare i moralisti con la politica

Categoria: Italia

E’ il caso di Renzi? Forse sì. Abbiamo osservato con attenzione (e con un pizzico di cinico divertimento) le peripezie parallele con cui hanno dovuto fare i conti negli ultimi giorni due politici PD

di Claudio Cerasa | 19 Luglio 2015 ore 12:00

E’ il caso di Renzi? Forse sì. Abbiamo osservato con attenzione (e con un pizzico di cinico divertimento) le peripezie parallele con cui hanno dovuto fare i conti negli ultimi giorni due politici di centrosinistra che stanno mettendo il segretario del Partito democratico in una situazione che sarebbe un ossimoro definire imbarazzante. E alla luce di quello che sta capitando in Sicilia con il caso Rosario Crocetta e alla luce di quello che sta capitando a Roma con il caso Ignazio Marino l’impressione è che il capo del Pd abbia di fronte a sé un problema legato a una nuova e significativa “questione moralismo” più che a una vecchia e polverosa “questione morale”.

Inutile prendersi in giro: senza risolvere la questione, Renzi potrà mettere in campo le riforme più eccitanti del mondo, il taglio di tasse più incredibile della storia, la riforma del Senato più fantasmagorica dell’universo, ma non riuscirà mai a far compiere al suo elettorato, e forse al paese, un salto culturale oggi vitale e più che necessario. Il problema ci sembra evidente ed è un problema che somiglia più a un virus che a una semplice prassi politica: quando si coltiva il proprio elettorato a pane e moralismo si espone la propria parte politica a essere rottamata rapidamente da una parte politica più moralista e più intransigente di te. E’ il caso di Renzi? Forse sì.

Un tempo, si sa, l’idea suicida della sinistra fu quella di non avere nessun nemico a sinistra – Pas D’Ennemi à Gauche. In un altro tempo, poi, l’idea sempre suicida della sinistra fu quella di non avere nessun nemico nelle procure – Pas D’Ennemi à la procure de Milàn. E nel tempo di oggi, invece, l’idea, purtroppo ancora molto diffusa nell’elettorato renziano e nella sua classe dirigente, è quella di non avere nessun nemico nella terra della morale.

Proviamo a essere ancora più chiari mettendo in evidenza alcuni fatti (passati inosservati) accaduti negli ultimi giorni. Gli esempi migliori per capire di cosa stiamo parlando sono legati ai profili di due formidabili professionisti del moralismo, come Rosario Crocetta e Ignazio Marino, che nel tempo hanno costruito la propria identità e la propria discutibilissima credibilità facendo leva (moralisticamente) su parole vuote e fragili come “antimafia” e “legalità” – e non è un caso che entrambi siano entrati in crisi non appena hanno scoperto che accanto a loro era presente qualcuno capace di rivendicare un moralismo ancora più moralista del proprio. E qui arrivano i problemi per Renzi e sono problemi in un certo senso slegati a quelle inchieste che da una parte hanno colpito il medico di Crocetta e dall’altra parte hanno colpito la giunta di Marino. Entrambi i moralisti, sia Marino sia Crocetta, meritano di essere spazzati via dalla storia per la loro inadeguatezza e per il loro essere l’esempio più cristallino della politica che confonde la parola moralismo con la parola riformismo e che nasconde i propri fallimenti dietro gli Ingroia e i Sabella e issando in alto la bandiera della legalità come se non fosse ormai evidente che la legalità si combatte con l’efficienza non con il giustizialismo, gli amici di Cianciminello o le sfilate antimafia. Ma, in un caso di grande schizofrenia politica, il punto è un altro ed è che proprio quel partito a vocazione renziana che si autoprofessa garantista di fronte ai guai giudiziari ed extra giudiziari che hanno colpito le galassie di Marino e Crocetta ha messo in campo lo stesso schema adottato generalmente dai professionisti del moralismo, utilizzando intercettazioni monnezza per provare a cacciare i due odiati amministratori e fare dunque quello che non ha il coraggio di fare con la politica. Non una grande figura, anche considerando il fatto che, come si sa, ogni teorico del moralismo prima o poi verrà spazzato via dalla sua stessa e scellerata dottrina (citofonare ad Antonio Di Pietro o, per comodità, ad Antonio Ingroia).

La sfida di Renzi, da questo punto di vista, è quella di creare una classe dirigente alternativa a quella “a vocazione moralista” che si è andata a diffondere come un virus inarrestabile in tutto il meridione, eccezion fatta per l’immenso Vincenzo De Luca. E tra cacicchi, magistrati e nuovi caudilli democratici, il segretario del Pd dovrà compiere così uno sforzo granitico per fare quello che oggi non è riuscito a realizzare: svelare gli altarini dei professionisti del moralismo, non copiarli, sfidare i falsi alfieri della legalità a colpi di riforme garantiste, non esserne ostaggio, e fare proprie, per esempio, le parole di una Lucia Borsellino, ex assessore di Crocetta, che poco prima di prendere a calci nel sedere il governatore siciliano ha consegnato sul tema parole definitive: “Non capisco l’antimafia come categoria, come sovrastruttura sociale. Sembra quasi un modo per cristallizzare la funzione di alcune persone, magari per costruire carriere”.

E’ una battaglia cruciale per Renzi, e forse anche per il paese, ed è una battaglia centrale non solo per sotterrare l’antimafia dei pennacchi e dei parrucconi ma anche per dimostrare che quel Pd che Renzi proverà a ricostruire non è vittima di una improvvisa Soumission al grillismo chiodato. E’ una riforma culturale importante, vale quanto un’abolizione dell’articolo 18 o un’abolizione del bicameralismo perfetto, ed è una riforma che il presidente del Consiglio ha urgenza di fare per una ragione semplice e per la stessa ragione per cui avrebbe il dovere di mettere mano a una seria riforma delle intercettazioni: evitare che a forza di cedere alla dottrina moralista arrivi improvvisamente un nuovo moralista capace di dimostrare di avercelo, il moralismo, più duro di una qualsiasi Leopolda.

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