Dateci la Troika in Sicilia e a Roma

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E voi vi preoccupate di Atene? La nostra Grecia viaggia in bus e il garage ha un nome di quattro lettere: crac. Le finte rivoluzioni dei caudilli Crocetta e Marino, i numeri di due fallimenti speculari. Ma quando arriva Schäuble?

di Mario Sechi | 24 Luglio 2015 ore 06:18

Abbiamo la Grecia in casa. La nostra Ellade finanziaria è a Roma e a Palermo, due città capaci di passare dal fasto al nefasto, dalla luce al buio, dall’impero alla monnezza non differenziata. I destini di Matteo Renzi dipendono (anche) dalle macerie che stanno seminando le avventure politiche di Ignazio Marino e Rosario Crocetta. La fortuna del premier passa attraverso le crisi della Capitale e della regione Sicilia più di quanto si possa immaginare. E’ per questo che a Renzi do un modesto consiglio: chieda alla Troika di intervenire in Campidoglio e a Palazzo dei Normanni. E se la Troika fosse troppo tenera e sensibile agli spaghetti e al mandolino, chieda a Angela Merkel in prestito per qualche settimana il ministro delle Finanze Wolfgang Schäuble. Non è un lavoro per gente dall’anima molle, servono falchi e leoni per domare l’anarchia finanziaria delle due città governate dai due sinistrati. Dietro le splendide architetture dei loro palazzi si celano rovinosi libri mastri, veri e propri sismografi della bancarotta politica. Vediamoli.

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Roma Capitale, un fregio che è uno sfregio finanziario, un baraccone dove l’unico consenso possibile si forma di fronte alla fornace dove si bruciano i soldi. Un circo massimo dove i bigliettoni vengono usati per fare i falò notturni. Dove non riuscirono i Vandali, sta riuscendo la giunta Marino. Pochi giorni fa, l’agenzia di rating Fitch ha messo nero su bianco i fatti che a Palazzo Chigi conoscono ma sembrano non voler affrontare con la durezza necessaria: “I recenti sviluppi politici nella città di Roma potrebbero indebolire la capacità dell’amministrazione capitolina di attuare il bilancio 2015 e quanto resta del piano di rientro 2014-2016”. La giunta romana ha perso sette assessori su dodici, è attaccata alla canna del gas di una legge ad hoc che nel 2014 fece venire le convulsioni al governo e provocò lo sconcerto di Giorgio Napolitano, il “salva Roma”. Lo scenario è quello di una crisi strisciante come la febbre gialla che secondo Fitch “potrebbe ridurre la capacità dell’amministrazione di portare a termine il piano di rientro da 550 milioni, che comporta tra l’altro misure di taglio dei costi, razionalizzazione del trasporto locale e cessione di asset”. A maggio si è aperto lo scenario del “buco tecnico” da 853 milioni, effetto di nuove norme contabili. Cifra spalmabile in trent’anni, dunque 28 milioni all’anno. Sostenibile. D’altronde tutto a Roma è sostenibile anche l’ipertrofia amministrativa e il paradosso delle aziende esterne che, di fatto, sono il cuore di tutto il sistema di potere. Il comune dovrebbe privatizzare (sul serio) le aziende che ha in portafoglio per liberare risorse e fare cash, ma il poltronificio romano è l’unica azienda davvero produttiva della Capitale e tutti sono attaccati alla sedia con il bostik. Non avete la più pallida idea di cosa sia, il reticolo che si crea intrecciando le partecipazioni incrociate di Roma Capitale, regione Lazio e provincia di Roma: è un labirinto di fronte al quale anche il genio di Escher si arrenderebbe. Trentaduemila dipendenti delle aziende partecipate, altri venticinquemila del comune. Un titano che erutta contratti singoli, premi di produzione, assenteismo, scioperi a catena, bestemmie. Aziende sane (poche) si confondono con imprese decotte e da liquidare. Una su tutte, amatissima dai romani, è l’Atac che in queste ore è sull’orlo del fallimento. Chiuderla sarebbe cosa buona e giusta. Mettere tutto in garage, creare una bad company e far ripartire i bus senza la zavorra che l’ha resa ingestibile. Il consiglio di amministrazione si riunisce domani, il collegio sindacale vuole portare i libri in tribunale, la Corte dei conti ha chiesto 15 milioni di euro di risarcimento agli ex dirigenti colpevoli di nepotismo e assunzioni illegittime, il deficit del 2014 ancora non si conosce ma parliamo di una cifra che ha il suo punto di riferimento nei bilanci precedenti: nel 2012 la perdita secca fu di 156,7 milioni, nel 2013 un altro salto di qualità, 219,1 milioni. E voi vi preoccupate di Atene? La nostra Grecia viaggia in bus e il garage ha un nome di quattro lettere: crac. Matteo, dove sei? Davvero ti vuoi tenere questo baccanale contabile? Continuare a buttare soldi nella fornace romana senza rispetto per il contribuente è un azzardo morale. E se gli italiani non riescono a mettere ordine e rigore in quelle stanze, allora che lo faccia la Troika! Pensaci, Matteo. Per il commissariamento della Sicilia servirebbe poco: una piccola legge e via. Vuoi farti segare la poltrona dalla cipria corrosiva dei tuoi amministratori in deficit? Non ci posso credere.

Il rocky horror show dei flop economici

Sì, la Troika lanciata a Roma e il glaciale Wolfgang Schäuble dritto a Palermo. Là dove sgoverna l’altro campione di autoaffondamento della politica, Rosario Crocetta, serve un mastino. Fa effetto, te lo assicuro Matteo. Durante la maratona di Bruxelles, a un certo punto, Alexis Tsipras dice a Angela Merkel: “Ho bisogno del mio ministro delle Finanze, Tsakalotos”. Merkel risponde: “Allora io chiamo Schäuble”. Tsipras è sbiancato. La Merkel però scherzava. E tu invece no, caro Renzi, non devi scherzare: mandaci Schäuble. Crocetta ha perso trentasette assessori in due anni. Diventeranno trentotto con l’uscita di Linda Vancheri, espressione di quella Confindustria sulla quale Crocetta aveva costruito la sua “nuova stagione”. S’è rotto anche quel patto. Ma lui andrà avanti, scudato da un’autonomia che gli consente di legiferare come un reuccio. Ma quali intercettazioni fantasma e silenzi, il presidente della Sicilia dovrebbe fare fagotto per ben altro. L’analisi della Corte dei Conti sul rendiconto della regione è un viaggio nel dadaismo finanziario: aumentano le spese, diminuiscono le entrate e la situazione del personale è sempre quella del rocky horror show: 14.950 dipendenti, di cui 1.250 sono nel corpo forestale; i dirigenti sono 1.737 con uno strabiliante rapporto di un dirigente ogni 8,6 dipendenti. Al personale dipendente va aggiunto quello “esterno”, altre 639 persone; questo incredibile baraccone costa al contribuente 938 milioni 529 mila euro. La più grande industria della Sicilia è la regione. Ah, ci sono anche i pensionati regionali: altri 16.072 persone che incassano l’assegno mensile e costano 608 milioni di euro. Totale per il contribuente: 1.546 milioni di euro, un miliardo e mezzo. Prezzo stracciato. Non finisce qui, le crocettiadi sono uno spasso. Immagino la faccia di Schäuble mentre ripassa i conti della Sanità: 11 miliardi 817 milioni di euro, il 54 per cento della spesa regionale, i dipendenti della Sanità siciliana (stringete i pugni, allacciate le cinture) sono 48.530. A questo punto Schäuble esibirebbe il Sicilexit e la motosega. La rivoluzione di Crocetta non c’è mai stata. E’ un vortice di dichiarazioni, licenziamenti di assessori sgraditi, crisi isteriche, piagnucolii, dimissioni ma anche no e resto e c’è il complotto e via così in un crescendo dove alla fine si capisce solo una cosa: la Sicilia è perduta, l’autonomia va tolta di mezzo con il bulldozer e serve la Troika!

Roma e la Sicilia rischiano di diventare la Tombstone del Pd e di Matteo Renzi. Una situazione kafkiana per cui gli amministratori non hanno più la fiducia del partito ma restano in sella esibendo la stella dello sceriffo. Cari amici del Pd, volete tenerli? Mandate la Troika. Vanno via? Chiamate comunque la Troika. E Schäuble, mi raccomando, affinché si capisca che si fa sul serio. Ricordo un fulminante Ennio Flaiano: “L’inferno, che l’italiano si ostina a immaginare come un luogo dove, bene o male, si sta con le donne nude e dove con i diavoli ci si mette d’accordo”.

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