RAMPANTE il ritratto di Luigi Di Maio, l'erede "presentabile" di Grillo che nasconde un segreto inquietante

Un chierico medievale si imbatté in un groviglio di serpi su cui spiccava un ramarro che già da solo sarebbe bastato a spaventarlo.

Libero, Giancarlo Perna, 20.9.2015

Tuttavia, confrontata a quelle serpeggianti creature, la bestiola gli parve graziosa ed esclamò: «Beati monoculi in terra caecorum», nella terra dei ciechi anche l’orbo è re.

Il detto, passato a proverbio, spiega secondo gli esperti montecitoriani, la gran bella fama di Luigi Di Maio, il vicepresidente grillino della Camera. Il ventinovenne Di Maio, che tutti considerano persona a modo, avrebbe avuto, come il sauro di cui sopra, il vantaggio di stagliarsi su uno sfondo tetro. Ossia l’orda di grillini della prim’ora, circa 120 deputati che parevano usciti dalle caverne con orecchini e zazzere maore per non parlare delle ragazze con le unghie mal laccate e agitate come Furie. Taccio dei loro comportamenti bravatori: assalti al banco della presidenza, occupazione del tetto di Montecitorio, insulti in Aula e fuori. Da scantonare, insomma, appena ne scorgevi uno. Due anni e mezzo dopo, non è più così. Anche loro -questione di mesi- stanno diventando casta. L’oggi però non influisce sul nostro discorso. È, infatti, nel contesto originario che è emersa, per opposizione, la figura di Di Maio: un alieno rispetto al gruppo di provenienza.

Quando fece capolino in Transatlantico, il giovanotto di Pomigliano d’Arco (Napoli) aveva solo ventisei anni ma era già un uomo delle istituzioni fatto e finito. Colpì l’aplomb. Capelli corti, rasato, camicia bianca e cravatta, completo antracite. Questo, mentre i suoi ciabattavano, inalberando barbe da Barabba. I commessi più anziani lo scambiarono per una reincarnazione di Pier Ferdinando Casini che nel 1983 si affacciò in Parlamento appena ventottenne ma pareva già un ometto, come poi è rimasto. Insomma, fu quasi automatico eleggere tra i quattro vicepresidenti il garbato grillino. Nonostante fosse debuttante, incarnò il ruolo come un veterano. Ha sempre guidato l’Aula con neutralità, sanzionando gli eccessi anche della sua parte politica. Cosicché, non avendo altro da rinfacciargli, i dandy se la presero con la semplicità del suo vestire. Per i Lord Brummel della Camera, egualmente ripartiti tra deputati e giornalisti, gli abiti furono giudicati tristocchi, impiegatizi, da immobiliarista, testimone di Geova, addetto alle pompe funebri. Amenità. Luigi però non ha cambiato di una virgola il sembiante, dimostrando il proprio nerbo.

Rispetto ai colleghi grillini che hanno giocato agli antisistema, irridendo il prossimo e rifiutando di parlarci, Di Maio è sempre stato dialogante. Fin dall’inizio, ha risposto alle domande dei cronisti, è andato in tv nonostante i divieti dei boss Grillo e Casaleggio (che per lui facevano un’eccezione), ha dato corda ai parlamentari di altri partiti desiderosi di abboccamenti. Anche Matteo Renzi, diventato segretario Pd, ha immediatamente pensato a lui per avere contatti con M5S. È negli annali lo scambio in Aula di pizzini tra i due nel giorno della fiducia all’attuale governo (25 febbraio 2014). Irritato per le critiche che gli piovevano dai cinquestelle, Renzi mandò, tramite commessi, un bigliettino a Di Maio (che successivamente lo divulgò): «Scusa l’ingenuità, caro Luigi. Ma voi fate sempre così? Mi ero fatto l’idea che su alcuni temi potessimo confrontarci. Invece...» e giù altre recriminazioni con chiusa ironica: «Tanto per capire». Il contropizzino dimaiesco arrivò a stretto giro e fu duretto: «Forse non è chiaro che in un anno abbiamo visto di tutto. La tua maggioranza ha votato il condono alle slot machine, miliardi per le banche e per l’acquisto degli F35. Che ti aspettavi gli applausi?».

Dunque, mano di ferro in guanto di velluto. Non dobbiamo infatti dimenticare che Di Maio è un grillino doc, seguace fedele del comico genovese. Considera se stesso un puro e giudica briganti i politici avversari. Detesta i privilegi al motto: «Se mi vedete in auto blu, linciatemi». Soprattutto è giustizialista. Questa discutibile caratteristica, che lo accomuna alla pancia dei M5S, mette in ombra -per chi scrive- i pregi sopra descritti. Tanto più che nei giorni scorsi, tra il serio e il faceto, Beppe Grillo gli ha detto: «Maledetto Di Maio, tu sei il leader». Un’investitura bella e buona -secondo molti- alla guida del movimento in caso di elezioni. Un’ardua responsabilità che lascia immaginare, in un domani non lontano, un ballottaggio Renzi-Di Maio per Palazzo Chigi. E se sarà il Nostro a prevalere -nonostante il buono che di lui si dice- a governare questo Paese, sia pure per interposto grillino, saranno le procure in cui si annidano ayatollah che Al Bagdadi gli fa un baffo.

Accantoniamo l’incubo e godiamoci Luigino com’è. Un cuor d’oro, innanzitutto. Un vero napoletano. Domenica scorsa, indossata la fascia tricolore, ha celebrato a Reggio Emilia le nozze della sua collega di partito, Maria Edera Spadoni. Si è commosso e ha rilasciato dichiarazioni da menestrello stilnovista. Eccone uno scampolo: «La bellezza salverà il mondo. Il loro sorriso, la loro felicità. Stupendi. È stata una delle esperienze più emozionanti della mia vita. Un abbraccio a tutti quelli che si amano». Un romanticone forse in cerca dell’anima gemella.

Maggiore di tre fratelli, Luigiotto è di famiglia benestante e colta. La mamma è un’insegnate di italiano e latino che ha rifiutato di mettere alla luce i suoi figli nelle strutture di Pomigliano o della vicina Napoli. Scegliendo invece, per stima, la più discosta Clinica Santa Rita, tra Avellino e Atripalda. È lì che ha partorito tre volte. Grazie a nostre fonti segrete, sappiamo chi è l’ostetrica che ha fatto nascere l’attuale vice presidente delle Camera. Si chiama Anna ed è tuttora fiera dell’impresa. La rievoca ogni volta che il suo bebè appare in tv e sogna una sua visita.

Passiamo a papà Di Maio. Imprenditore di professione, è un acceso uomo di destra, dirigente prima del Msi, poi di An. Luigi, che nega di avere subito l’influsso paterno, si è formato invece sulla Storia d’Italia di Montanelli e Cervi, facendone però relativamente tesoro. Tanto che a 21 anni si è invaghito di Grillo. Attualmente è fuoricorso a Legge, ma prima, per un anno, aveva fatto una capatina a Ingegneria, sempre nell’Ateneo di Napoli. In entrambe le Facoltà ha fondato un’Associazione di studenti per tutelarne i diritti, confermando una già solida fama di rompiscatole. Fin dal Liceo, in quel di Pomigliano, ogni volta che qualcosa non gli garbava a scuola, convocava politici e giornalisti per denunciare le magagne. Fallito nel 2010 il tentativo di diventare consigliere pomiglianese, ha cominciato a riprendere con la telecamera le sedute del Consiglio comunale, mandando in bestia il sindaco di centrosinistra che lo fece bloccare dai vigili. Se non fa politica, Luigi è sul web, essendo un patito informatico. La sola fidanzata di cui si abbia notizia, l’ha lasciato perché, secchione com’è, non trovava mai tempo per lei. Ci sarà una nuova fanciulla che gli restituisca la giovinezza?

di Giancarlo Perna

Categoria Italia

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