Dove andare? Il dramma dei post berlusconiani dietro l’esplosione di Ncd

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Oltre l’addio di Quagliariello c’è di più. Legge elettorale, amministrative, lista unica. Perché ballano gli alleati di Renzi

di Redazione | 15 Ottobre 2015 ore 06:27 Foglio

Roma. “Non ho forzato nessuno a entrare nel Nuovo centrodestra, non trattengo con forza nessuno”. E l’esplosione del partito nato dentro il Parlamento da una scissione del Pdl per sostenere il governo di Enrico Letta nel 2013 è nelle parole del suo segretario e leader, Angelino Alfano: “Ciascuno è libero di fare quello che vuole, libero di tornare indietro”. Ed era da mesi che si avvertiva un torrido rullare di tamburelli nelle file composite dei gruppi parlamentari di questo partito fermo sulla soglia del 2 per cento, ma con una cospicua rappresentanza alla Camera e al Senato, persino al governo. Una formazione che si era costituita nell’emergenza della crisi economica, quando Silvio Berlusconi si attrezzava a mollare la grande coalizione di Letta e quando con grande sorpresa di tutti Alfano (ovvero il delfino ed erede designato del Cavaliere, seguito da una parte dello stato maggiore berlusconiano: Schifani, Cicchitto, Sacconi, Formigoni, Quagliariello, Lupi) abbandonava Arcore spiegando che “il destino del paese viene prima di ogni cosa”. L’eclissi di Letta e l’alba di Renzi avevano coinciso con i primi dubbi, l’inizio di un mormorio sotterraneo e preoccupato tra dirigenti, amministratori locali, parlamentari: ma che facciamo dopo? Si può stare con Renzi o bisogna partecipare alla rifondazione del centrodestra?

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Un mormorare sempre più allarmato, sempre meno carsico, che sempre più spesso esplodeva in litigi nei corridoi del Parlamento, nel chiuso delle stanze, tra Quagliariello e Lupi, poi tra Cicchitto e Formigoni, fino a quando l’estate scorsa le posizioni apparentemente inconciliabili non sono emerse con crescente prepotenza anche sui giornali, in un dibattito che sempre alludeva alla scissione, con la parola “partito a tempo” che veniva maneggiata senza cautela da tutti.

Quagliariello si è dimesso ieri dall’incarico di coordinatore di Ncd, e la scissione sembra a un passo. All’incirca un terzo dei gruppi parlamentari di Camera e Senato ritiene non ci sia spazio di alleanza con il Pd e con Renzi, il resto è invece convinto che si possa costruire un rapporto non più episodico con il presidente del Consiglio. Qualcuno ipotizza che se Renzi aprisse a una ulteriore riforma della legge elettorale, eliminando il premio alla lista unica per attribuirlo alle coalizioni, il tramestio di Ncd cesserebbe, o si ridurrebbe considerevolmente. Non sono infatti pochi quelli che ritengono improbabile che Renzi voglia accogliere in una lista unica, assieme al Pd, i candidati dell’Ncd: “Diventerebbe una scialuppa di salvataggio che si può offrire a pochissime persone. E non è politica”, dicono. Tutt’altra cosa sarebbe un premio alla coalizione, che permetterebbe a Ncd di fare una specie di lista “Moderati per Renzi”, alleata al Pd. Ma la scissione, sostengono molti altri, è comunque inevitabile: approvata la riforma del Senato, fatta la legge elettorale, chiusa la legge di stabilità – spiegano – sono venute meno quelle ragioni di urgenza che nella crisi economica e di sistema avevano giustificano la strana alleanza di un partito ex berlusconiano con la sinistra. Molti deputati e senatori di Ncd hanno elettori e biografie legate alla destra, qualcuno anche alla destra missina, e ritengono impraticabile qualsiasi genere di rapporto elettorale con il centrosinistra. Sono già iniziati i contatti con Raffaele Fitto e Flavio Tosi per la costituzione di un più ampio gruppo parlamentare che possa raccogliere i fuoriusciti di Ncd che, in vista delle amministrative del 2016, vogliono partecipare al processo di ridefinizione del centrodestra, una meccanica che ritengono si sia già messa in moto con la vittoria di Brugnaro a Venezia e la possibile candidatura di Alfio Marchini a Roma.

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