A sportellate sul renzismo. Grillo, tasse, debito e deliri onirici della sinistra

Categoria: Italia

Economisti e addetti ai lavori a confronto sul manifesto economico del presidente del Consiglio svelato dal Foglio

di Redazione | 10 Novembre 2015 ore 13:32 Foglio

Era la prima volta che il presidente del Consiglio, Matteo Renzi, si presentava di fronte a una platea con un lungo discorso scritto, e l’occasione scelta dal segretario Pd è stata quella dell’Assemblea dei gruppi parlamentari, convocata lunedì 3 novembre. In quel discorso il premier ha messo nero su bianco quella che è la nuova agenda del governo, con i punti forti della legge di Stabilità, le contro argomentazioni offerte alla sinistra delle tasse e le motivazioni che fanno di questa fase politica, parole di Renzi, “il momento migliore dall’inizio della legislatura”. Il Foglio è entrato in possesso del testo completo dell’intervento e sabato scorso ne ha pubblicato ampi stralci, poi ripresi domenica un po’ da tutti i giornali. In quelle pagine, Renzi critica chi sostiene che il cambiamento che sta portando avanti il governo sia avvenuto per ragioni esterne – “il cambiamento avviene perché così ha deciso il più grande partito politico italiano, nessuno pensi che arrivi per fattori esterni”. Ricorda che nonostante le gufate dei Brunetta “i numeri c’erano, ci sono, ci saranno, la maggioranza parlamentare non è in discussione”. E poi arriva a parlare di tutto il resto: tasse, Grillo, deliri onirici della sinistra. Abbiamo chiesto a economisti e analisti di commentarlo. Domani una seconda puntata.

Giusta direzione della manovra, anche sulle tasse, ma dubbi sulle priorità. Tre ragioni

di Marco Gay

Nel 2010 – durante la più grave recessione dagli ultimi cento anni – la legge finanziaria ha cambiato nome: è diventata legge di Stabilità. Oggi che per la prima volta parliamo di ripartenza, non serve cambiare nome, ma sostanza, per farla diventare, finalmente, legge di crescita. Questo governo ci sta riuscendo? [continua]

Un programma che unisce tasse più moderate e spese crescenti è realizzabile solo indebitandosi ancora di più

di Alberto Mingardi

“Happy Days” è andata in onda negli anni Settanta, proprio quando con lo scandalo Watergate, la crisi petrolifera e l’elevata inflazione sembrava che i giorni felici dell’America fossero giusto un ricordo. La serie è ambientata ai tempi di Eisenhower, prima che Kennedy tagliasse l’aliquota marginale dell’imposta sul reddito di venti punti, dal 91 per cento al 70 per cento. Di liberista, non c’era molto. [continua]

Lo storytelling renziano impone di non scendere troppo nel dettaglio. Siamo ancora alla sindrome armadio Ikea

di Paolo Madron

Il discorso (lungo, e scritto) di Matteo Renzi ai gruppi parlamentari del Pd è forse il primo sistematico tentativo di conciliare il suo apparato narrativo con la realtà. Un tentativo che, non a caso, viene dopo che una batteria di indicatori (in primis quello che misura la crescita) segnala un timido accenno di ripresa. “Be happy” dunque, esorta Renzi cui i numeri infondono sicurezza, proprio nel momento in cui i fuoriusciti del Pd gli rimproverano di operare con un approccio da “Happy days”. [continua]

“Il liberismo è di sinistra”. La convinzione renziana che ne fa un unicum (di successo) in Europa

di Erik Jones

Sono quattro gli aspetti principali che emergono dal discorso renziano sulla legge di Stabilità: la sua analisi delle sfide che la crisi impone all’Italia; la sua valutazione sul centro sinistra europeo; la sua difesa del piano di riduzione delle tasse sulla prima casa; la sua presa d’atto del fatto che la distanza tra nord e sud del paese rimane una questione prioritaria. [continua]

Pieni voti sul Jobs Act. Ma gli osservatori internazionali attendono fatti sulla Giustizia

di Domenico Lombardi

Il discorso del presidente del Consiglio, fra i vari temi, elabora su due aspetti rilevanti per la politica economica del Governo Renzi: la politica fiscale e le riforme strutturali. [continua]

Cosa manca nella 25 misure elencate da Renzi? La parola “concorrenza”. E occhio ai mutui

di Andrea Tavecchio

“Se c’è un elemento comune che racchiude tutte le (25) misure di cui ho parlato lo sintetizzerei così: abbiamo bisogno di dare tranquillità al ceto medio di questo paese. Qualche pensatore americano ha scritto ‘la fine del ceto medio’, io non sono d’accordo. Noi abbiamo bisogno che i cittadini si sentano tranquilli. Noi scommettiamo sul ceto medio”. Questa la sintesi che fa il presidente del Consiglio della legge di Stabilità 2016 ai gruppi del Pd. La scommessa di Renzi è chiara: vuole tranquillizzare la classe media che da troppi anni non spende o investe per paura. Classe media, che come noto, in Italia non è tanto giovane anzi è in pensione o quasi, ha (almeno) una casa di proprietà, ha un po’ di risparmi (non in azioni, ma in titoli di stato o obbligazioni bancarie) e un po’ di contanti da parte, a volte troppi… La Stabilità 2016 è una scommessa sulla fiducia e sul consenso, anche politico. Vedremo. [continua]

Dall’aumento del deficit agli effetti del Jobs Act: la comunicazione prende sempre il sopravvento

di Mario Seminerio

Il discorso di Matteo Renzi ai gruppi parlamentari del Pd è una orgogliosa rivendicazione delle cose fatte e di quelle da fare per portare il paese a tornare a quel ruolo di influenza e prestigio che secondo la nostra piccola vulgata nazionalistica dovrebbe competergli in Europa e nel mondo. Renzi è notoriamente molto abile nella comunicazione: si intesta successi che non sono tali e tende a vedere causalità dove c’è solo correlazione. Spesso si focalizza solo sui dati lordi e non sugli assai meno eclatanti dati netti, altre volte presenta previsioni come fossero fatti compiuti, ma solo se favorevoli e funzionali alla sua narrazione. Non è gravissimo: la politica è anche e soprattutto questo.

Quest’anno presenta una legge di Stabilità fatta ad esclusivo deficit ma rivendica che di deficit non si tratta, “perché siamo sotto il parametro di Maastricht”. E pazienza che il suo governo possa essere sotto quel parametro grazie, in ordine cronologico, ai governi che lo hanno preceduto ed all’azione del presidente della Banca centrale europea Mario Draghi, oltre a un mega bonus come il dimezzamento del prezzo del greggio. Sono dettagli. Pazienza anche scordarsi che è durante le fasi di espansione che serve risanare la finanza pubblica, quindi è quanto meno bizzarro chiedere di aumentare il deficit strutturale mentre si celebra la ripresa. Persino il vecchio Keynes avrebbe avuto qualcosa da ridire, su una simile condotta. Perché Renzi vuol dire fiducia: da rottamatore a custode della tranquillità degli italiani, martoriati da anni di traumi con la vendicativa realtà giunta a vandalizzare la Terra Promessa dalla politica. E’ una ripresa ciclica che  produce lieve aumento di occupazione e riduzione di cassa integrazione ma per Renzi è il prodromo del Rinascimento e il merito va al Jobs act, che in realtà agisce su altro.

Il rapporto di indebitamento sta scendendo ma quello è solo un numero scritto su una previsione, e con il quadro disinflazionistico che abbiamo di fronte dovremo essere più fortunati che bravi, per ottenere quel risultato. Ma in fondo la fortuna aiuta gli audaci, in giro per il mondo, e gli sfrontati in Italia. I meno giovani ricorderanno un Bettino Craxi in forma letteralmente garibaldina proclamare che l’Italia era tornata protagonista nel mondo, contro gli “sfascisti” interni, i gufi della Prima repubblica. C’è da dire tuttavia che, con questa opposizione, Matteo Renzi è il meglio che possa capitare all’Italia. Forse per quello la nostra prognosi continua a non apparire rassicurante.

Mario Seminerio, analista e autore del blog Phastidio.net