Esclusiva: una manciata di Forze speciali italiane è in Libia

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Le spinte americane, i primi bombardamenti aerei, la guerra sul petrolio. Perché il piano dei jihadisti parte da Sirte. Storie dal nostro confine con lo Stato islamico. Reportage del Foglio

Il capo di un'unità di forze speciali libiche a Tripoli (foto Daniele Raineri)

di Daniele Raineri | 03 Dicembre 2015 ore 06:29

Zuwara, dal nostro inviato. Una fonte che chiede di essere definita soltanto come “western official” dice al Foglio che l’Italia ha mandato pochi uomini delle sue Sof in Libia per preparare un possibile intervento militare. Sof è un acronimo inglese che sta per Special operations forces e indica le forze speciali. Secondo la fonte, si tratterebbe di una manciata di operatori che si muove vicino a Zuwara e a Sabratha, due piccole città sulla costa della Libia che stanno tra la capitale Tripoli e il confine con la Tunisia. I militari si appoggiano ai servizi segreti italiani, che sono presenti in pianta stabile in quella zona a causa della presenza delle infrastrutture di Eni che, tra le altre cose, sono una questione di sicurezza nazionale. Questa nuova missione fa parte di un cambiamento importante: dalla tutela del settore energia si passa alla preparazione di un intervento.

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“Gli Stati Uniti stanno facendo pressione sull’Italia per un’azione militare in Libia”, dice la fonte, – e questo è un punto che nel corso dell’ultimo anno è stato confermato da fonti diplomatiche disparate. Dal punto di vista tecnico funziona così: c’è un italiano sul posto che fa da riferimento e che tiene i contatti con i capi dei clan locali – per esempio, un nome: Abu Mussa Grin, che “non è sulla lista dei cattivi degli italiani” – per instaurare un rapporto di collaborazione, tenere aperti i canali di comunicazione, ottenere informazioni. Altri italiani vanno e vengono e non sono riconoscibili come militari da un osservatore casuale. Un ufficiale del 9° Reggimento d’assalto Col Moschin è stato in quell’area per sette mesi. In particolare, gli operatori delle forze speciali italiane sono considerati specialisti di quella zona per il ruolo che hanno avuto durante la guerra civile libica contro Gheddafi nel 2011, quando hanno guidato i bombardamenti degli aerei della Nato. “Senza le Sof italiane, la Nato non avrebbe quasi azzeccato un bersaglio” in quell’area, dice la fonte.

La presenza italiana coincide con le operazioni in Libia di forze speciali americane e inglesi, che secondo quanto rivela un articolo pubblicato domenica scorsa sul New York Times, sono impegnate a raccogliere informazioni sullo Stato islamico.

Nel paese arabo circolano rumors più o meno infondati sulle attività in incognito di militari stranieri – e questa non è una novità, è piuttosto una costante del paesaggio libico, carico di sospetti. A fine settembre il presidente del Congresso nazionale di Tripoli, Nuri Abu Sahman, ha accusato le forze speciali italiane di avere teso un’imboscata a “un trafficante di uomini di Zuwara”e di averlo ucciso  – notizia che si rivelò una bufala in poche ore, ma che rende il clima che si respira in Libia.

Le forze italiane candidate a questi incarichi di ricognizione sono due. Una è il Comando subacqueo incursori, Comsubin, che ha familiarità con quel tratto di costa.

Nel settembre 2011 gli uomini del Comsubin arrivarono al largo di Sabratha a bordo della nave San Marco, quando la rivoluzione era ormai alle ultime battute (Gheddafi, nascosto a Sirte, sarebbe stato catturato e ucciso il mese seguente) e la Libia aveva riattivato i contratti con Eni. Durante quell’operazione i cecchini del reparto coprirono altre squadre che scesero dagli elicotteri sulle piattaforme Eni – per ispezionarle e dichiararle “pulite” da eventuali mine e trappole esplosive. Più di recente, a marzo di quest’anno, sui giornali è arrivata l’indiscrezione che un contingente di incursori del Comsubin è partito dalla base del Varignano a la Spezia a bordo di una nave, questa volta la San Giorgio, per stazionare di nuovo davanti a quella zona, in corrispondenza dell’impianto di Mellita.

Come dicono anche fonti del Foglio a Zuwara, alcune aree della vicina Sabratha – è poco più a est – sono infestate dallo Stato islamico. A luglio il gruppo – che si nasconde dietro la presenza di altre fazioni islamiste – ha avuto la tentazione di uscire dall’ombra e dichiarare la propria presenza in via ufficiale, ma poi ha soprasseduto per non provocare reazioni militari e così perdere la rotta strategica d’accesso alla Tunisia. Mentre a Sirte lo Stato islamico produce e mette su internet materiale di propaganda, distribuisce dolci per celebrare l’attacco di Parigi e annuncia l’istituzione di tribunali islamici, a Sabratha preferisce per ora tenere un basso profilo. Da quei cento chilometri di strada litoranea che vanno verso i checkpoint di confine passano tutte le operazioni clandestine che lo Stato islamico lancia nel paese vicino, dall’attacco al museo del Bardo alla strage in spiaggia di Sousse. Martedì scorso la Tunisia ha chiuso la frontiera tra i due paesi per bloccare il traffico di uomini e di esplosivi, dopo che su un bus nel centro della capitale Tunisi un attentatore suicida ha fatto una strage di guardie presidenziali – un corpo scelto e specializzato nella lotta agli islamisti.

La Libia è al centro di operazioni di sorveglianza e di raccolta di intelligence da parte dei paesi occidentali. Il 26 settembre un drone Predator americano è precipitato per un guasto nell’area di al Fatayah, appena a sudest di Derna, lo Stato islamico lo ha trovato e subito ha messo tre foto su internet. Il giorno prima il drone aveva sorvolato Sirte, secondo alcuni testimoni. Il 16 novembre anche alcuni jet francesi hanno sorvolato Sirte, tre giorni dopo il massacro di Parigi. Il 13 novembre due aerei americani hanno ucciso un comandante iracheno, Abu Nabil al Anbari, secondo il Pentagono. Un pezzo del New York Times di pochi giorni fa cita una non meglio specificata fonte che afferma che “l’America ha incrementato il numero dei bombardamenti in Libia”. Ne parla al plurale, lasciando intendere che le missioni aeree in Libia contro l’Is erano già cominciate.

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