Tutte le tattiche di Renzi per non essere schiacciato dall’Europa

Categoria: Italia

L’Italia in deficit di incidenza contro lo strapotere tedesco. Via l’ambasciatore a Bruxelles. Chi altri è sotto tiro?

di Renzo Rosati | 18 Dicembre 2015 ore 06:18 Foglio

Roma. Nelle campagne in Belgio si sono impaludati Napoleone, Hindenburg e Carlo De Benedetti: la due giorni di Bruxelles di Matteo Renzi non poteva che risultare insidiosa. Ieri ci si è occupati di Brexit e immigrazione: l’asse italiano con David Cameron è forse arrivato tardi, ma tutti vogliono scongiurare l’uscita di Londra e dunque decisioni rinviate; quanto ai migranti la bozza provvisoria insiste sull’obbligo di prendere le impronte digitali, con incombente procedura d’infrazione all’Italia; Renzi rispedisce al mittente (“facciamo anche il riconoscimento facciale, più della Germania”).

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Oggi toccherà alle sanzioni alla Russia, che Renzi non vuole siano automaticamente rinnovate, accusando Berlino di doppiezza visto il raddoppio del gasdotto North Stream che porta ai tedeschi gas russo; e altri dossier dove l’Italia è in minoranza, banche comprese. Il premier italiano è impegnato su tre fronti: i governi, in veste di jolly anti austerity e anti tedesco; la Commissione (“gli euroburocrati”); i rappresentanti italiani nelle stanze dei bottoni europee. Il trasferimento a Madrid di Stefano Sannino, ambasciatore presso l’Ue nominato da Enrico Letta – il quale si dice “inorridito” dalla sostituzione – è l’ultimo segnale di uno scarso feeling che non si limita al diplomatico vicino a Romano Prodi. Nel contesto di generale insofferenza dell’Italia a un’Europa che risponde soprattutto agli interessi tedeschi – difficili da controbilanciare a prescindere da questo o quell’ambasciatore – ci sarebbero altri due super dirigenti nella linea di fuoco. Una linea teorica, s’intende, se dobbiamo guardare alle figure che avrebbero potere e modo d’incidere ma lo fanno poco. Cioè Vincenzo La Via, direttore generale del Tesoro nominato da Mario Monti, e in Europa coordinatore del Comitato economico e finanziario, capo-sherpa per le questioni dei bilanci pubblici. La Via, stimato da Mario Draghi e (ancora) da Letta, non ha impedito il malumore europeo per l’utilizzo anticipato italiano delle clausole di flessibilità sul deficit. Poi c’è Andrea Enria, presidente dell’Eba, l’autorità bancaria promotrice degli stress test, sospettato di appiattimento sulle tesi tedesche. Entrambi con mandato di cinque anni, La Via ed Enria si occupano di finanza pubblica il primo, privata il secondo. Per Palazzo Chigi con esiti non brillanti. Il pasticcio delle direttive sulle banche ne sarebbe una prova.

Enria, in un dossier di 11 pagine presentato il 3 marzo alla commissione Finanze del Senato, ha sì ricordato come le crisi bancarie sarebbero gravate sugli investitori, ma ha escluso la garanzia europea sui depositi chiesta invece da Italia e Francia: “Non è al momento prevista. Forme più avanzate di assicurazione sarebbero desiderabili, ma non essenziali se l’impegno a non utilizzare risorse pubbliche è credibile”. Né ha parlato di bad bank, l’altro obiettivo italiano. Al di là di questi casi quando Renzi dice “è il momento di fare un discorso anche con i nostri alti burocrati in Europa”, esplicita la frustrazione per regole costruite sotto regìa tedesca in èra Letta. E ciò, oltre che occuparsi dei funzionari, richiede di portare lo scontro a livello dei governi, Germania in primis, lasciando perdere la Commissione e le sue propaggini. Proprio ciò che il suo predecessore gli rimprovera dal buen retiro parigino, cioè di contribuire a svuotare il ruolo di Bruxelles come incarnazione dell’Europa. Modalità opposte, l’una renziana l’altra prodiana. Quando Renzi assunse la guida del semestre europeo nel 2014 Lorenzo Bini Smaghi, ex membro del board Bce, parlando col Foglio, gli consigliò di “coltivare intese bilaterali con Merkel”, e quanto alla Commissione “di ricordare che l’asse franco-tedesco cammina sull’attività di decine di sherpa di alto livello che negoziano tra loro e poi fanno blocco: lì l’Italia ha un gran terreno da recuperare”, disse Bini Smaghi. Appunto.

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