Il caso Boschi visto con Instagram

Categoria: Italia

Fragilità del TTR (tutto tranne Renzi), amletismo di FI (con Salvini o no?), grillismo da cabaret, alternative sbiadiate. Dietro la sfiducia (respinta) contro il ministro simbolo del renzismo c’è la perfetta fotografia del 2016

di Claudio Cerasa | 19 Dicembre 2015 ore 06:18 Foglio

Nella storia della repubblica , le mozioni di sfiducia hanno un senso solo se rispettano due condizioni. La prima (difficile) è che la maggioranza sia solidale con quella mozione e scelga di utilizzare quel voto per licenziare un ministro (Filippo Mancuso, 1996). La seconda (meno difficile) è che almeno una delle opposizioni che ha scelto di sostenere quella mozione utilizzi quel voto con la volontà di mettere in mostra un’alternativa concreta al mondo rappresentato da quel ministro. In mancanza di queste condizioni una mozione di sfiducia dà sì la possibilità di fare un po’ di cabaret (in questo l’onorevole Di Battista – le bbbanche, le bbbanche, è sempre colpa delle bbbanche – è un buon allievo di Grillo) ma mette il governo nelle condizioni di ricordare a tutti che la maggioranza – vittoria! – ha i numeri per governare.

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L’istantanea della mozione di sfiducia al ministro simbolo del renzismo Maria Elena Boschi ci dice molto non solo sulla tenuta del governo ma fotografa bene, come un post su Instagram, anche lo status di tutti coloro che si trovano all’esterno del perimetro di governo, ed è l’immagine perfetta per capire cosa ci aspetta nel 2016. Se la mozione doveva essere l’occasione per mostrare un’alternativa concreta al mondo rappresentato dal ministro che si voleva sfiduciare, le condizioni di salute delle alternative sono preoccupanti. Il Movimento 5 stelle, pur avendo ottenuto il risultato importante di realizzare un boom di condivisioni sui social dell’intervento dell’onorevole Di Battista, più che fornire una prova di alternativa al governo – le bbbanche, le bbbanche, è colpa delle bbbanche – ha offerto una prova di scarsa fiducia dello stesso gruppo del movimento 5 stelle sugli esiti della mozione di sfiducia presentata dallo stesso gruppo (il 20 per cento del gruppo dei grillini alla Camera non ha partecipato al voto sulla mozione di sfiducia presentata dallo stesso gruppo dei grillini. Hashtag: #vinciamopoi). Dal punto di vista simbolico, se vogliamo, il fatto che la mozione dei compagni a cinque stelle sia stata votata anche da Lega, Fratelli d’Italia, Sinistra italiana, fuoriusciti del M5s e civatiani (da distinguere con rigore dai compagni di Sinistra italiana, hasta la divisione siempre) conferma (a) che la galassia degli anti sistema è semplicemente una forma di grillismo combattuto con altri mezzi ma anche che (b) la distanza che Forza Italia ha voluto marcare rispetto al partito del “è tutta colpa delle banche” (non partecipare al voto) è stata una scelta saggia, anche se avvenuta in modo grottesco (Brunetta, capogruppo alla Camera, a inizio settimana sosteneva la tesi opposta).

Il dramma di Forza Italia giorno dopo giorno risulta però sempre più esplicito e dovrebbe far riflettere che in questa fase della legislatura le posizioni più coerenti del più importante partito di centrodestra coincidano, semplicemente, con la strategia del non intervento (asteneersi o uscire dall’aula). In buona sostanza, oggi per gli avversari di Renzi vale la stessa regola che valeva anni fa con gli avversari di Berlusconi. Con l’anti renzismo si raccolgono molti like su Facebook ma non si costruisce un’alternativa. Il TTB (tutto tranne Berlusconi) per la sinistra fu un disastro. E seguire oggi il TTR (il tutto tranne Renzi) è il modo migliore per consentire a Renzi di preparare la partita della vita (l’altro voto sulla Boschi, tra un anno, al referendum) con in campo più troll che avversari veri.

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