Renzi scopre cosa significa rimanere soli davanti a Bruxelles

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Perché il premier italiano è in difficoltà nella sua ricerca di alleati contro il presidente della Commissione europea, Jean-Claude Juncker

di Marco Valerio Lo Prete | 18 Gennaio 2016 ore 20:02 Foglio

Roma. Le “fonti diplomatiche” che lunedì sono tornate a indugiare sui malumori della Commissione europea nei confronti del governo italiano sono attendibili. Il presidente dell’esecutivo di Bruxelles, Jean-Claude Juncker, che già venerdì scorso aveva detto in pubblico che “l’atmosfera fra l’Italia e il resto dell’Ue non è delle migliori”, lamenta ora l’assenza di interlocutori chiari nel governo italiano per affrontare i diversi dossier pendenti. Eccezion fatta per quelli economici in mano al ministro Padoan – precisavano a Radiocor le stesse fonti – salvo poi aggiungere che in particolare è risultato indigesto l’atteggiamento di Roma sullo “sconto” in termini di deficit da accordare alla manovra italiana e sull’immigrazione con gli annessi dubbi per i finanziamenti alla Turchia. Il ministro degli Esteri Gentiloni ha ribattuto che a Roma c’è un governo nel pieno dei suoi poteri. Renzi lunedì insisteva: “Non ci intimoriscono”.

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Tuttavia, con Piazza Affari da una parte che guida la corsa dei listini europei in terreno negativo per colpa delle banche traballanti, e con Bruxelles dall’altra che parla di interlocutori italiani non all’altezza, è difficile impedire il gioco delle associazioni mentali con il novembre 2011. Ma al momento sarebbe fuorviante scendere su quel terreno. Juncker intanto sbraita, però. Cui prodest? Prima lettura molto minimalista in voga nel governo: il presidente lussemburghese starebbe segnalando l’insostenibilità di una situazione in cui l’ambasciatore italiano a Bruxelles, Stefano Sannino, è stato apertamente sfiduciato dal governo ma non ancora sostituito. Seconda lettura, più plausibile: Renzi solletica da sempre un certo euroscetticismo presente nell’elettorato italiano; le critiche agli “euroburocrati” a volte possono però sfuggire di mano, che sia colpa dello spin o dei raccoglitori di spin, specie se alla guida della Commissione c’è un caratterino – quello di Juncker – non proprio da incassatore provetto. Fuochino. Terza lettura dell’escalation in corso: la “piccola politica domestica”, da sola, non spiega l’origine di questa “nuova linea di faglia in Europa tra Italia e Germania”, scriveva lunedì il quotidiano americano Wall Street Journal. Dov’è la ciccia, dunque? Renzi e Padoan sono convinti, in tandem, che allo sforzo monetario espansivo della Banca centrale europea di Mario Draghi debba fare da pendant un indirizzo di politica fiscale meno restrittivo. In questo senso la Commissione deve garantire agli stati membri tutta la flessibilità prevista. Anzi, qualcosina in più, come era inteso nel patto tra Pse e Ppe che sostenne Juncker.

Fuor di Parlamento europeo, che conta più di un tempo ma pur sempre poco, su quale rete di alleanze può fare affidamento Renzi? Nei confronti della Mogherini, che per il governo era la-nostra-donna-all’-Avana, è iniziato il grande freddo (lunedì la renziana Bonafè l’ha accusata di non fare gli interessi dell’Italia a Bruxelles). La Francia del socialista Hollande aggiunge deficit a deficit – ha appena annunciato un esoso piano per il lavoro – ma poi al dunque si accoda alla Germania. In Spagna siamo ancora al tutti contro tutti post elettorale, figurarsi i socialisti. Merkel, per la prima volta dopo dieci anni, è sotto il fuoco incrociato di alcuni pesi massimi bipartisan della politica tedesca per la gestione dell’immigrazione; una sua uscita di scena non è più esclusa. Tutti fattori che rendono difficoltosa per Renzi la ricerca di alleanze, e quindi possibile la sua temporanea trasformazione da aspirante stabilizzatore continentale a pimpante sfasciacarrozze. (mvlp)

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