Il fronte unico modernista che umilia i suoi nemici ha un capo: il Papa

Categoria: Italia

Ernesto Galli della Loggia fa resistenza. Ammirevole. Denuncia nel Corriere il conformismo modernista.

di Giuliano Ferrara | 14 Febbraio 2016 

Ernesto Galli della Loggia fa resistenza. Ammirevole. Denuncia nel Corriere il conformismo modernista. Osteggia la parzialità facilista dei media e dei conduttori televisivi. Sostiene che una parte degli italiani, sul tema delle unioni civili, dell’adozione dei bambini, della fecondazione eterologa, e su tutto il resto delle questioni etiche maggiori, non è rappresentata e inclusa nella discussione pubblica. Anzi è censurata. Derisa. E’ a rischio populismo, costretta com’è a vivere nel disprezzo delle élites, del pensiero dominante, mainstream. Il clima, segnato da un linguaggio politicista di basso profilo e da intemerate personali o provocazioni di ogni parte che obliterano gli argomenti e i problemi, e li scavalcano, è irrespirabile per certe posizioni, che si rifugiano in adunate oceaniche per la famiglia naturale o tradizionale, il cui destino è l’isolamento o l’irrilevanza. Il giorno dopo, all’Angelus, neanche il Papa se ne ricorda. Che cosa volete che sia un Circo Massimo rispetto ai fasti arcobaleno di Sanremo, multimilionari, allo star-system dell’amore come diritto e bellurie varie. Media e cultura, aggiunge Galli della Loggia, sono fatti così, sono liberal dall’origine, si identificano con anticonformismo progressista e libertà e modernità dispiegate, non possono recepire il mugugno tradizionalista se non con un ghigno sprezzante.

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Ma proviamo a metterci non già dalla parte di una minoranza bistrattata, conculcata, costretta a farsi guidare da leadership derisorie e improbabili, proviamo a metterci dalla parte della nuova maggioranza morale, quella appunto modernista, e cerchiamo di capirne l’euforia galoppante, il senso di invincibilità che rasenta il bullismo, la capacità di trasformare qualsiasi cosa abbia il sapore del nuovo che avanza in un lendemain qui chante, un domani che canta. Hanno giustamente l’idea di vivere nell’epoca della grande abdicazione. Tre anni fa, di febbraio, un Papa ha gettato la spugna in nome di Dio. Si è sentito consigliato così nel suo intimo, nel suo contatto personale con il divino. Ma il colpo della spugna ha cancellato quasi trent’anni di combattività cristiana in occidente, in particolare idee e canoni plurisecolari sui temi della vita, delle scelte di responsabilità nella cellula sociale che è stata la famiglia, del tough love, dell’amore come testimonianza adamantina di fiducia nel futuro, in un’idea di umanità non astratta, non desiderante, non impiccata alla logica esaltante e ruffiana dei “diritti”. Una lunga guerra culturale, che era di interesse primario anche per posizioni laiche non secolariste, è finita: ed è finita con la resa.

Quello che lo storico Galli della Loggia chiama “il fronte unico dei modernisti” ha avuto uno scalpo a due teste, Ratzinger e con lui il suo predecessore fatto santo, e ha un capo trionfante, Bergoglio. Il Papa regnante è abbastanza spregiudicato per incontrare un pope reazionario e putinista (uso questi termini per farmi capire dai modernisti), il patriarca moscovita Kirill; costruisce l’evento di dialogo ecclesiastico, che i cantori del nuovo Vaticano definiscono a buon diritto storico, sulla scia diplomatica del disastro siriano Kremlino-Vaticano, con la mediazione da teologia del popolo di un Castro; firma una dichiarazione congiunta che, spregiudicatezza per spregiudicatezza, contiene i valori arretrati, tutt’altro che modernisti, della visione del mondo utile alla chiesa e al potere nella Russia ortodossa, improvvisamente parla di famiglia naturale con tono grave, riscopre la centralità della vita umana a scorno dei poteri di ingegneria della biologia moderna, obietta alla secolarizzazione che esclude i cattolici dalla vita pubblica, si presenta come un Ratzinger in veste da ieromonaco. Ma sono dissimulazioni tipiche delle migliori procedure gesuitiche, dunque cose effimere.

 La verità è che il problema non è Elton John, non è il socialismo ciudadano di Zapatero, non è il protestantesimo anglo-olandese, e la maggioranza baldante e irrefrenabile che condanna i tradizionalisti a posizioni lamentose e perdenti non è solo l’attivismo della Corte suprema degli Stati Uniti, il presidente liberal che ha lavorato per il matrimonio gay, la statuizione definitiva dell’aborto come diritto umano, il faustismo scientifico d’avanguardia che sperimenta lo sperimentabile su corpi e anime di donne all’insegna di nuove schiavitù; il problema è che viviamo nell’epoca, dissimulata dalla retorica della misericordia e della chiesa povera, della grande abdicazione. Non era per maurrasismo che sostenevo, secondo la caricatura teocon allora in voga, che l’occidente non si tiene senza una chiesa di Cristo con la schiena dritta: era per realismo.

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