Raggi e la spassosa mutazione genetica dei casaleggini. Indagine breve sul generone grillino

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Virginia Raggi è il personaggio del momento. E il fatto che la fama del candidato sindaco di Roma del Movimento 5 stelle sia arrivata al di là dei confini del raccordo anulare ci dice già molto sul profilo del personaggio

di Claudio Cerasa | 21 Marzo 2016 ore 08:05 Foglio

Ma davvero non notate nulla di strano? Virginia Raggi è il personaggio del momento. E il fatto che la fama del candidato sindaco di Roma del Movimento 5 stelle sia arrivata al di là dei confini del raccordo anulare ci dice già molto sul profilo del personaggio. La storia di Raggi è nota. Ha 37 anni, è nata a Roma, è cresciuta nel quartiere San Giovanni, a 26 anni si è trasferita nel quartiere Ottavia, nella periferia nord della città, si è laureata in Giurisprudenza all’Università di Roma Tre, è specializzata in diritto d’autore, proprietà intellettuale e nuove tecnologie, per un certo periodo ha lavorato allo studio Previti e oggi, dicono i sondaggi, ma chi ci crede a questi sondaggi?, oggi, dicevamo, tutti dicono, a Roma, che la Raggi ha ottime chance di essere il prossimo sindaco di Roma.

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La premessa la conoscete tutti, ok, ma in tutto questo, pensateci bene, davvero non notate nulla di strano? Certo che c’è qualcosa di strano. C’è un pezzo di paese, e di Roma, che fino a poco tempo fa i grillini consideravano impresentabile e che oggi invece i casaleggini considerano fondamentale da conquistare per far diventare presentabile il proprio candidato e il proprio movimento, che nel frattempo da non partito è diventato un vero e proprio partito. Da questo punto di vista Virginia Raggi oggi è il simbolo di una mutazione genetica del Movimento 5 stelle che da “anti-establishment movement” è diventato il movimento coccolato dai campioni dell’establishment, con l’Economist che si sbaciucchia la candidata grillina (11 marzo) già divenuta beniamina dei circoli romani un tempo accusati dai grillini di essere dei luoghi massonici e con il leader in pectore del Movimento 5 stelle (Di Maio) che si fa bello di fronte ai suoi followers per un pezzo simpatetico dedicatogli non da Podemos News ma dal Financial Times (30 dicembre).

Ha notato giustamente su queste colonne Giuliano Amato che la grammatica grillina è cambiata a tal punto da aver portato a, possiamo dire, rottamare un principio centrale del pensiero grillino. “Osservo che in passato il Movimento 5 stelle era un movimento, un partito, che puntava a portare in Parlamento i portavoce del popolo minuto: uno di noi il più semplice di noi. Oggi a Roma è candidata una brava e giovane avvocatessa. A Torino c’è una giovane e brava bocconiana. A Milano hanno scelto di sacrificare una disoccupata”.

Un’avvocatessa, dunque, considerata “brava” da uno dei politici più odiati da Grillo. Un’avvocatessa che in passato ha votato un partito come il Pd che secondo Grillo tresca con mafioserie varie e nuoce gravemente alla salute. Un’avvocatessa che viene lusingata in copertina dai giornaloni della borghesia (l’Espresso). Un’avvocatessa che ha ricevuto anche i complimenti di Berlusconi (“Mi dicono che non è soltanto telegenica, ma è anche un bravo avvocato”). Un’avvocatessa che si è fatta conoscere non smanettando sul web ma facendosi apprezzare dai suoi beniamini sulla poltroncina di Bruno Vespa.

Potremmo andare avanti per ore con altri dettagli deliziosi ma alla fine il nodo della questione ci pare evidente: il Movimento 5 stelle ha capito che per avere chance di governare deve rottamare la sua identità, deve negare se stesso, deve in un certo senso superare il grillismo e rappresentare un pezzo di Italia considerata impresentabile fino a cinque minuti fa. Osservare la campagna elettorale della Raggi è istruttivo per cogliere la trasformazione del cinque stelle e l’evoluzione del pensiero grillino, e della sua candidata regina, che avendo capito che le scatolette di tonno non si possono aprire deve essere rassicurante, conciliante, non aggressivo, deve negare se stesso, non farsi nemici, dire che a Roma non si licenzia nessuno, che i dipendenti comunali non vanno cacciati ma vanno solo motivati, che bisogna solo riallacciare i rapporti con i dipendenti capitolini onesti e bisogna farli sentire parte di una squadra perché (ridiamo) non c’è nessun problema di sovrabbondanza (Roma ha circa 60 mila dipendenti comunali, ogni dipendente tiene famiglia, i dipendenti comunali votano in massa alle elezioni e i grillini tengono anche loro famiglia e vogliono i loro voti).

Un candidato che piace all’Economist, al Financial Times, forse allo Studio Previti, forse allo studio San Marco, probabilmente a molti berlusconiani, che ha votato “un partito che nuoce gravemente alla salute” (Pd) e che da movimento anti establishment è diventato il simbolo di un nuovo establishment. Probabilmente non basterà neppure questo per vincere le elezioni ma intanto a Roma abbiamo la fortuna di osservare la più spassosa delle mutazioni genetiche della politica. Uno spettacolo comico. Cabaret puro. Signore e signori, ecco a voi il generone grillino.

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