Macaluso a L43: «Non c'è sinistra senza un popolo alle spalle»

Categoria: Italia

«Ha perso idee e valori, sembra un circolo culturale». Su Renzi: «Pensa soltanto alla sua leadership, gli manca un progetto di ampio respiro».

di Paola Alagia | 03 Aprile 2016 Lettera 43

L’appuntamento con i referendum, il 17 aprile sulle trivelle e in autunno sulla riforma costituzionale, da un lato, e la partita delle amministrative, dall’altro.

Quale palcoscenico migliore per le forze di sinistra in campo, impegnate a ritagliarsi un ruolo da attore protagonista?

Ci prova la minoranza interna del Pd a guida Renzi, concentrata a ricondurre il Partito democratico in un orizzonte di centrosinistra.

Ma ci prova anche il costituendo partito Sinistra italiana che mette insieme Sel e fuoriusciti dem, Fassina e Cofferati in primis, ma anche L’altra Europa con Tsipras.

Senza, tuttavia, aver inglobato per ora né Rifondazione comunista, né Possibile, la creatura di Pippo Civati, anche lui ex dem.

Tante sfumature di sinistra che si stanno moltiplicando con la scelta dei candidati in corsa per il voto di primavera nelle grandi città, ma che Emanuele Macaluso, storico dirigente del Pci, riesce a ricondurre a un unico comune denominatore: «Prevale il frazionismo», dice a Lettera43.it. «Siamo di fronte a tanti piccoli gruppi che si contendono una presenza politica minoritaria».

                         

Emanuele Macaluso.

DOMANDA. Non sono partiti di sinistra, in sintesi?

RISPOSTA. Un partito che si definisce di sinistra non esiste se non ha alle spalle un popolo. Senza masse è solo un circolo culturale. Nulla più.

D. Questo è diventata la sinistra oggi?

R. Sono cambiate le condizioni rispetto al passato: la classe operaia non ha più il ruolo che aveva un tempo e la stessa politica è diversa. Ma ciò non significa che una forza di sinistra non sia necessaria.

D. In che termini?

R. Di un partito che tenda, per dirla come Bobbio, all’uguaglianza e che, quindi, organizzi le proprie forze e i propri ideali per dare senso a tale presupposto. Tutto questo oggi non c’è.

D. Dice che va sfatato il mito del Pd come partito di centrosinistra?

R. Il Pd, più che un partito, è un aggregato politico elettorale che nasce dalla fusione di Ds e Margherita. Diciamo le cose come stanno.

D. Prego.

R. Il Partito democratico, pur essendo l’unica formazione che si richiama al centrosinistra, è una forza priva di un asse politico-culturale in cui fondere le diversità.

D. L’unico elemento che pare non cambiare mai è la tendenza a scissioni e divisioni.

R. In tutte le formazioni politiche prevalgono i personalismi. Anche in passato molte scissioni avvennero grazie a personalità forti che riuscirono a raccogliere consenso. Salvo poi dissolversi appena persero la base di riferimento. E qui ritorniamo al problema centrale.

D. Quale?

R. Il rapporto con le masse è essenziale. Ma questo comporta anche una visione politica chiara. Un orizzonte definito. Altrimenti tutto si riduce a meri giochi di forza.

D. Più che il consenso, la voglia di contarsi?

R. La competizione tra cordate politiche. Proprio quella a cui abbiamo assistito in occasione delle primarie a Napoli.

D. Si riferisce alla sfida Bassolino-Valente?

R. Sì. L’esempio calzante di una competizione non motivata culturalmente o ideologicamente, ma tutta incentrata sul personalismo. Che, ripeto, senza base non ha futuro.

D. Un discorso che vale anche per la sinistra fuori dal Pd?

R. Certo. Fassina, per esempio, è una persona stimabile, ma non ha un popolo dietro. Ecco perché mi chiedo cosa possa portare in più, senza un progetto concreto in rapporto alle esigenze della base. Lo stesso discorso vale per Civati che è stato più prudente non candidandosi. Ma alla fine della giostra cosa otterrà?

D. Ce lo dica lei...

R. Niente più che qualche consigliere pronto a strepitare per le sue istanze in un consiglio comunale. Ma tutto ciò serve a poco.

D. Sempre a proposito di base reale, anche il Pd di Renzi sembra abbastanza disinteressato al tema.

R. Al di là del fatto che Renzi pensi a un ricambio della base, guardando per lo più all’elettorato moderato, la verità è un’altra: il premier e segretario del Partito democratico è concentrato solo sulla sua leadership, a costruire un consenso intorno a lui e non a un progetto di ampio respiro.

D. Dovunque si volga lo sguardo a sinistra, dunque, solo macerie.

R. La crisi della sinistra nasce proprio dall’assenza di un orizzonte.

D. Vanno letti in quest’ottica pure gli 'amori' per esperimenti di sinistra maturati fuori confine, come Tsipras in Grecia o Podemos in Spagna?

R. Alla base c’è il problema che un partito dovrebbe sempre avere vocazione di governo. Non paga aggrapparsi a papi e forze straniere che poi non reggono. La ricerca di identità e obiettivi, infatti, deve avvenire all'interno del nostro Paese. E non fuori.

D. Quando è iniziata la crisi a sinistra?

R. L’errore è stato buttare a mare insieme all’ideologizzazione della politica anche la politica sorretta da idee e valori. Un partito degno di tale nome, infatti, deve affrontare i problemi del presente ma anche avere una bussola per il futuro.

D. Risale alla battaglia post ideologica che il M5s ha portato alla ribalta?

R. Il processo è ben più vecchio. È iniziato nel 92-93 con la crisi dei partiti e con l’ascesa di Berlusconi e dei suoi slogan da uomo del fare contro la politica corrotta. È a questo punto che è mancata una reazione a sinistra.

D. In che senso?

R. Oltre a contrastare il Cavaliere, la sinistra doveva lavorare per costruire un progetto con valori e ideali nuovi.

D. È fuori tempo massimo, ormai?

R. Le sfide mondiali, dalla globalizzazione all’ondata migratoria, attendono una risposta. Confido nelle nuove generazioni. A patto che sappiano vedere nell’uguaglianza il loro orizzonte e nel popolo lo strumento per raggiungerla. Altrimenti ancora una volta non si andrà da nessuna parte.

Twitter @vermeer_

Categoria Italia