Il dramma spettacolare del Cav. e i suoi interlocutori visto da un intruso affezionato

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So tutto di Berlusconi. In tanti anni di amicizia solida e decente, fronda compresa, ho imparato abbastanza per capire che nell’affaire romana in cui è impegolato lui è un supereroe matto e disperatissimo e i suoi interlocutori sono dei mediocri quando non dei minchioni

di Giuliano Ferrara | 24 Aprile 2016 ore 06:00

So tutto di Berlusconi. In tanti anni di amicizia solida e decente, fronda compresa, ho imparato abbastanza per capire che nell’affaire romana in cui è impegolato lui è un supereroe matto e disperatissimo e i suoi interlocutori sono dei mediocri quando non dei minchioni. Salvini lo insulta e lo snobba e sogna un futuro addirittura da leader, ridicolo e pretenzioso. La Meloni, questa vanitosa Dea dei tassinari più rozzi, gli tira la giacca per fare un giro di giostra al Campidoglio, dove le oche ancora starnazzano per il sacco di intelligenza provocato dal suo mondo e dalla sua congrega negli anni di Alemanno. Il subgovernatore Toti, cui non manca solo una “t”, fa lo stratego, il generale vittorioso a Varazze che marcia su Arcore in compagnia di un esercito di impiegati impaziente di liberarsi del boss e di mettere in piedi una nuova ditta che te la raccomando. Deputati, senatori e notabili vari sono in corsa nella solita gara di slealtà da ansia di rielezione. Il buon Gasparri non capisce come non si voglia riunificare il centrodestra, frase insensata, buona per i notisti politici minori, ma il fatto che Gasparri non capisca spesso si capisce. E tutto questo avviene nel caos organizzato tipico della corte del Cav., il più grande impresario del mondo (The Donald deve ancora faticare parecchio per eguagliare le gesta del suo predecessore).

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Berlusconi aveva in Verdini un capo di stato maggiore capace e leale, che si vincolava e lo vincolava a una politica sensata e senza alternative: l’erede è Renzi e tu un influente padre della Patria dopo la completa rottamazione dei tuoi e dei suoi nemici. Dopo l’uscita anticipata dei ministeriali della cricca lettiana, ingoiati dalla vastità extrapolitica dei dicasteri loro assegnati, Verdini, con l’appoggio di Letta Sr. e di Confalonieri, era un ancoraggio sicuro, con una visione fiorentina e un caratteraccio utile coltivato a Campi Bisenzio. L’ex numero due era decisivo anche e soprattutto al momento critico della scelta degli uomini da mettere in lista. Nel periodo della massima dissipazione pop della corte ambulante di Arcore, a un aspirante maschietto che voleva fare il deputato, regalò una battuta rimasta celebre: non puoi, non hai le poppe. Il Cav. è famoso per non saper dire di no, è Don Giovanni di natura e Leporello nello stile, perché piagnucola quando sente che gli tocca mancare di parola. Mentre l’intendenza si preoccupa della ricostituzione del centrodestra, che non è mai esistito se non come nomenclatura di servizio del Patron, Berlusconi si innamora del suo rapporto personale con Bertolaso e ha una ovvia intuizione post-nazarena: a Milano e a Roma proviamoci con due bei tipi da sbarco tecnocratico, Parisi e Bertolaso, che hanno navigato a sinistra e sono felicemente equivocabili, trasversali (e occhio ai sondaggi). Con Parisi gli è andata bene, su Bertolaso, difetti personali del candidato virtuale a parte, scatta la piccola congiura dei guastatori, del team delle ambizioni sbagliate, aiutato dalla corte degli inservienti che vollero farsi Re.

Non sono più da tempo ormai un tipo d’assalto, vagolo inutilmente per New York, ma è come se origliassi le riunioni di Palazzo Grazioli e sento il dramma spettacolare di Berlusconi come un intruso affezionato, sento quel dire e disdire, quel tentativo di sottrarsi alle pressioni dei mozzorecchi, quelle esitazioni, quei dubbi, quella ricerca di un primato politico nelle sabbie mobili di falsi partiti da sempre ostacolo a una buona politica (Forza Italia, la Lega, e i Fratelli Bandiera della nota parrocchietta). Provano il vecchio giochetto della “circonvenzione di capace”, anzi dell’unico capace della compagnia. E nel mio piccolo spero ardentemente che falliscano.

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