Lettere al Direttore Foglio 14.7.2016

Categoria: Rubriche

Negri spiega perché il Referendum è anche contro il partito delle procure. A Mattarella un dossier sulla recente campagna referendaria in materia di Trivelle e rappresentare al capo dello stato l’esigenza di tutelare da inaccettabili interferenze l’ormai prossima campagna referendaria in materia costituzionale

1-Al direttore - Una sola considerazione: si scopre con questa tragedia dell’esistenza del binario unico in Italia nella misura del 60 per cento. Il problema del trasporto ferroviario deve essere affrontato ed essere prioritario. Le Ferrovie, mi riferisco alle lunghe percorrenze, hanno fatto passi indietro, rispetto agli anni 70/80. Infatti l’Alta velocità si ferma a Napoli e i vari treni tipo Freccia del sud, Trinacria, etc., o non esistono più si chiamano con altri nomi, ma da Milano a Reggio Calabria continuano a impiegare 15 ore. Davvero necessita affrontare il problema.

Giovanni Attinà

2-Al direttore - Abbiamo chiesto oggi udienza al presidente della Repubblica Sergio Mattarella, per affidare alla sua responsabile valutazione un dossier sulla recente campagna referendaria in materia di Trivelle e rappresentare al capo dello stato l’esigenza di tutelare da inaccettabili interferenze l’ormai prossima campagna referendaria in materia costituzionale.

Fuor di metafora: possiamo dimostrare come il combinato-disposto di un’inchiesta giudiziaria denominata Trivellopoli e originata dalla procura della Repubblica di Potenza, la dolosa e illegale diffusione di verbali secretati, la deliberata, consapevole divulgazione e la promozione via stampa e televisione di dossier anonimi rilanciati sulle prime pagine dei maggiori quotidiani e tg nazionali, abbiano giocato un ruolo assai preciso nella vicenda della recente prova referendaria. A due settimane dal voto – come molti ricorderanno – il tema oggetto di referendum fu investito da una telenovela in salsa petrolifera dai contorni succosi e grotteschi, che tenne banco per un paio di settimane sostituendo ogni confronto tra le posizioni del Sì, del No e dell’astensione. Come nella favola di Cenerentola, tuttavia, allo scoccare della mezzanotte a urne chiuse , si sono dissolti nel nulla molti dei protagonisti della soap opera. Non vi è più traccia del cavallo bianco dell’ammiraglio della marina che “gozzovigliava a New York sulla portaerei”, né dei brindisi al petrolio della ministra (non indagata, si apprende) e del suo ex fidanzato, e con essi sono finiti nel nulla, letteralmente nel nulla, i presunti intrighi volti all’approvazione di torbidi emendamenti sul maleodorante oro nero. L’esperienza del recente referendum non può essere rimossa, né sottovalutata. La telenovela come noto a nulla è valsa se non a dare celebrità a qualche pennivendolo amplificatore di para-inchieste, a dilapidare ingenti somme di investimenti esteri nell’economia nazionale, e a qualche giudice che forse emulerà gli eroi del colpo di stato permanente che ha portato in Italia solerti magistrati – protagonisti di inchieste sistematicamente finite nel nulla – al ruolo di sindaci, ministri, presidenti di partito e capipopolo di sedicenti rivoluzioni civili, da ribattezzarsi per ciò che oggi appaiono: maldestri protagonisti di atti eversivi dell’ordine democratico.

La domanda, la questione che noi ci permettiamo dunque di sottoporre al capo dello stato, al supremo custode e arbitro del confronto democratico, è altra. E’ lecito, è tollerabile, è democraticamente sensato che in occasione di una campagna referendaria su un tema assai più delicato e sensibile quale quello della riforma costituzionale, di impatto politico e civile di primaria grandezza, possano ripetersi eventi di questo segno? In assenza di un ruolo arbitrale capaci di imporre regole certe e trasparenza, la feconda e documentata capacità di confezionare abiti giudiziari a quello che è e deve essere un confronto politico è purtroppo nell’ordine delle cose e nel campo delle probabilità.

Ecco: se in occasione del passato referendum abbiamo avuto un presidente della Corte costituzionale che ci ha ricordato a tutto schermo e nell’imminenza del voto che “votare è un dovere”, questa volta ameremmo un arbitro altrettanto e forse più illuminato, in grado di garantire all’inizio del confronto – e non al termine – una parola puntuale e un punto di equilibrio capace di infondere fiducia nella trasparenza del confronto civile e nel rispetto delle istituzioni repubblicane.

Giovanni Negri, comitato Sì per i Radicali

C’è una ragione precisa per cui chi sogna un paese non dominato dallo strapotere della magistratura politicizzata non può che sperare che a ottobre o a novembre passi il referendum costituzionale. Un esecutivo che ha gli strumenti adeguati per governare può essere più indipendente anche dagli orrori del circo mediatico giudiziario e laddove ci sono esecutivi forti le zampate dei magistrati politicizzati possono essere facilmente respinte. Viceversa, con governi instabili, con maggioranze raccogliticce, dominati dalla logica del proporzionale e ossessionati dalla sindrome del tiranno, il partito dei veti (delle procure) prevarrà sempre sul partito dei voti (della politica). Il grillismo matura in questo contesto: i governi deboli non possono prendere tutte le decisioni che vorrebbero e non potendo cambiare il paese come dovrebbero sono più soggetti agli attacchi e alle cialtronate incrociate del partito delle procure. Era quello che Berlusconi teorizzava quando governava e siamo sicuri che è anche quello che il Cav. pensa oggi, nonostante abbia scelto di stare dalla parte del partito dell’ingovernabilità. In bocca al lupo e forza referendum.

3-Al direttore - Giuliano Ferrara ha offerto uno spunto interessante quando scrive che, in questo occidente che è invischiato nella deculturazione, “la chiave della conoscenza e della riflessione da qualche parte bisogna trovarla” (il Foglio, 5 luglio). Mettiamola così. Appena uscì l’edizione italiana del libro di Rémi Brague sul modello di Roma antica, capace di assimilare le altre civiltà senza conflitti e ancora valido per l’occidente, dalle pagine di Repubblica, quando Repubblica non si faceva condizionare dal mainstream corrente, si fece notare al grande accademico di Parigi che nella sua ricostruzione aveva dimenticato l’invenzione più importante, insieme col diritto, della civiltà romana: l’acquedotto. Brague pose rimedio alla lacuna nella seconda edizione del libro, ringraziando per i suggerimenti il quotidiano scalfariano.

Il Pontefice romano ha insito nel suo stesso nome il compito di costruire ponti. Francesco non ignora che per i Romani tuttavia la funzione dei ponti spesso era sussidiaria a quella degli acquedotti. Ecco, oggi si evocano i ponti della inculturazione che senza l’acqua sempre fresca della storia della civiltà europea e anche occidentale è mera deculturazione. Un ceto accademico, giornalistico e politico deve ormai esserne consapevole se vuole mostrarsi all’altezza delle sfide odierne. Frequentando meno i talk-show e leggendo di più libri seri. A partire dal libro di Brague.

Giuseppe Di Leo

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