Lettere al Direttore Il Foglio 30.8.2016

Categoria: Rubriche

L’equivoco attorno alla Natura. La Big Society e il centrodestra. “Guardate, è una cosa disumana. E' contro natura”. Sono sobbalzato: un terremoto sarebbe contro natura?!

Al direttore - Zuckerberg: Matteo mi ha convinto, basta bicameralismo, a Twitter solo ruolo consultivo.

Giuseppe De Filippi

1-Al direttore - Caro Cerasa, ho letto la tua sacrosanta riflessione leopardiana sul Foglio, con interesse e adesione. Ti segnalo un particolare che rafforza la tua argomentazione. Il Tg1 delle 13 e 30 di qualche giorno fa riportava la voce di una poveretta in mezzo alle bare che dice disperatamente al microfono: “Guardate, è una cosa disumana. E' contro natura”. Sono sobbalzato: un terremoto sarebbe contro natura?! Una ragione in più per leggere con soddisfazione il tuo pezzo. Un saluto

Claudio Petruccioli

2-Al direttore - Da sottoscrivere in toto il Suo editoriale di ieri sul benecomunismo in rapporto al recente terremoto. Si potrebbe aggiungere che, al pari di tutte le ideologie, anche questa che vede la Natura come buona e il progresso umano come causa di tutti i mali del mondo ha in sé più di una contraddizione. Perché poi la Natura non è più così soave e carina se si ostina a far nascere gli esseri umani chi col pene e chi con la vagina, dal momento che il genere sessuale è questione di scelta e di cultura come vuole il fascismo gender. E che dire se la Natura fa sì che non ti vengano figli? Non è una mostruosità tale da giustificare il ricorso, nel presupposto aberrante che i figli siano un diritto e non un dono, alla fecondazione artificiale e all’utero in affitto, con buona pace del fatto che se proprio devi ci sarebbero migliaia di bambini da adottare? E se per caso scopri (attraverso l’amniocentesi, ovvio, che mica vorrai scoprirlo dopo se è sano o no) che tuo figlio avrà la sindrome di Down? Non vorrai sul serio far nascere un poveraccio destinato a essere un infelice (oltre che, en passant, un peso per te e la società) tutta la vita? Certo che no, e infatti abortisci e passa la paura. Per non parlare di tutti quei malati terminali costretti da una Natura malvagia a un letto di dolore, non fanno pena? Ma anche per loro, tranquilli, il progresso ha una risposta, si chiama “dolce morte” ovvero eutanasia: una punturina ed è tutto finito, alla lettera. Tornano alla mente le parole di Benedetto XVI nel suo monumentale discorso al Reichstag di Berlino del 22 settembre 2011: “L’importanza  dell’ecologia è ormai indiscussa. Dobbiamo ascoltare il linguaggio della  natura e rispondervi coerentemente. Vorrei però affrontare con forza un  punto che – mi pare – venga trascurato oggi come ieri: esiste anche  un’ecologia dell’uomo. Anche l’uomo possiede una natura che deve rispettare  e che non può manipolare a piacere. L’uomo non è soltanto una libertà che  si crea da sé. L’uomo non crea se stesso. Egli è spirito e volontà, ma è  anche natura, e la sua volontà è giusta quando egli rispetta la natura, la  ascolta e quando accetta se stesso per quello che è, e che non si è creato da sé. Proprio così e soltanto così si realizza la vera libertà umana”. Dedicato a tutti i benecomunisti di ieri oggi e domani.

Luca Del Pozzo

La natura “è uno dei termini più ambigui in cui sia dato imbattersi nella storia della filosofia”, diceva Bobbio. E aveva ragione: la natura non ci piace in assoluto ma ci piace solo se fa quello che noi ci aspettiamo dalla natura.

3-Al direttore - Del tutto condivisibile il suo editoriale sulla mitologia della natura buona. la natura non è né buona né cattiva. La natura è ferita. Ferita da un qualcosa che a un certo punto è successo e che nella tradizione cristiana occidentale si chiama peccato originale. Potrà sembrare una spiegazione semplicistica, o mitologica, puerile perfino. Ma qualcuno ne trovi una migliore, se mai ci sia. D’altra parte ammettere una ferita originaria aiuterebbe a reintrodurre una categoria di lettura del reale oggi invece violentemente e indebitamente espulsa dalla coscienza: la categoria del limite e della dipendenza. Noi siamo limitati e dipendenti. Non onnipotenti. Per vivere dipendiamo dal sole, dall’aria, dall’acqua, dal cibo. Nasciamo e moriamo. Magari anche sotto un terremoto. La consapevolezza del limite (peraltro già tematizzato dagli ecologisti più avveduti, vedi Langer), aiuterebbe a recuperare un approccio positivo (perché più realistico e avveduto, e quindi più utilmente consapevole), alla necessaria costruzione del nostro mondo. Altro che questa menzogna pianificata dell’uomo che è sempre e solo male a se stesso.

Emiliano Ronzoni

I sostenitori dell’Agenda Settis dovrebbero rileggere con più attenzione Giacomo Leopardi: “Una grandissima parte di quello che noi chiamiamo naturale, non è; anzi è piuttosto artificiale: come a dire, i campi lavorati, gli alberi e le altre piante educate e disposte in ordine, i fiumi stretti infra certi termini e indirizzati a certo corso, e cose simili, non hanno quello stato né quella sembianza che avrebbero naturalmente. In modo che la vista di ogni paese abitato da qualunque generazione di uomini civili, eziandio non considerando le città, e gli altri luoghi dove gli uomini si riducono a stare insieme; è cosa artificiata, e diversa molto da quella che sarebbe in natura”.

4-Al direttore - Nel fiume d’immagini e video che pullulano in rete, mi ha colpito lo scatto che ritrae alcune anziane signore, tra le cui mani scorre un rosario, circondate da macerie popolate da uomini che scavano senza sosta. Mi colpisce perché dice del grande contributo che sia gli uomini che scavano sia quelle anziane donne stanno offrendo di fronte a un dramma così grande. Quelle donne in particolare testimoniano la potenza del metodo di Dio che noi cristiani dimentichiamo costantemente: sommesso e disarmato, apparentemente labile quanto quel filo di rosario, ma certo della Sua vittoria di fronte a tutte le circostanze della storia.

Mario Leone

5-Al direttore - Spero che Stefano Parisi abbracci con convinzione il vostro suggerimento di una riforma complessiva del sistema paese ispirata al modello della “Big Society”. Ha scritto il politologo statunitense Yuval Levin: “La premessa del conservatorismo è sempre stata che quel che più conta nella società accade nello spazio tra l’individuo e lo stato. Lo spazio occupato dalle famiglie, dalle comunità, dalle istituzioni civiche e religiose e dall’economia privata. E creare, sostenere, proteggere quello spazio e aiutare tutti gli [individui] a prendere parte attiva in quel che là accade sono tra i principali obiettivi del governo”. Solo in questo modo si potrà mettere a frutto ogni giorno – e non solo nei momenti di emergenza – lo straordinario capitale umano e sociale del nostro paese, ora represso e soffocato dall’imperante statalismo. Del resto, come ha ricordato Luciano Capone, “Big Society” è la traduzione cool del “principio di sussidiarietà”, che fa parte della nostra cultura e tradizione cattolico-liberale (e anche della nostra Costituzione, all’art. 118 comma 4: ma la “più-bella-del-mondo” viene invocata solo per avere diritti senza doveri e libertà senza responsabilità). Fu Giovanni Paolo II, nella straordinaria enciclica “Centesimus annus”, a insegnarci che “intervenendo direttamente e deresponsabilizzando la società, lo stato assistenziale provoca la perdita di energie umane e l’aumento esagerato degli apparati pubblici, dominati da logiche burocratiche più che dalla preoccupazione di servire gli utenti, con enorme crescita delle spese”. Per avere la “Big Society” bisogna quindi riscoprire il vecchio mantra di “meno stato”: per questo, ci aspettiamo che il centrodestra di Stefano Parisi si impegni seriamente per la riduzione degli spazi dell’intermediazione politica nella società. Ci vuole “meno stato” per avere “più individuo, più società, più mercato”. Riferirci a questo tipo di stato come “minimo” rimanda troppo al liberalismo ottocentesco? Allora lo si chiami – forse è anche meglio – stato “leggero”: uno stato, cioè, che pesi sulle vite degli individui il meno possibile e che li lasci liberi di aiutarsi tra di loro. Non sono i programmi governativi, ma le iniziative dal basso, quelle che ciascuno di noi può porre in essere da solo e in collaborazione con altri, a rendere migliore il mondo: come diceva Edmund Burke, molto lo stato può fare per impedire che sia commesso il male, poco, però, perché avvenga il bene. Quello è compito degli uomini e donne di buona volontà, delle famiglie, delle comunità, dell’associazionismo volontario: della “Big Society”, per l’appunto. Non ci deluda, Parisi!

Giuseppe Portonera

6-Al direttore - Durante il mese di settembre diversi esponenti di Forza Italia (insieme ad altri pezzi delle formazioni di centrodestra) faranno a gara per organizzare convegni, seminari di approfondimento, riunioni di stati generali (che poi sono soltanto, al massimo, tenenti colonnelli), con l’obiettivo di marciare divisi e… non colpire affatto. Come dice Qoelet: “Tutto è vanità e fame di vento”.

Giuliano Cazzola