Lettere al Direttore Foglio 20.10.2016

Categoria: Rubriche

Il giustizialismo del 5 stelle spiegato con un’amnesia di Dibba che non conosce l’art. 27 della Costituzione. Brutale interferenza di Obama

1-Al direttore - Monti dice no, ma potrebbe aiutare il sì. Obama dice sì, ma potrebbe essere un boomerang. Quanto a me, cito a memoria: “Il vostro linguaggio sia sì, sì. Il resto è del demonio”

Franco Debenedetti

2-Al direttore - Caro Cerasa, ho visto bene martedì sera a “Politics”, su Rai3? Lei ha chiesto all’onorevole Alessandro Di Battista, ovvero l’uomo scelto dal Movimento 5 stelle per portare in giro per l’Italia le ragioni della difesa della Costituzione, se ricordava l’articolo 27 della Costituzione e l’onorevole grillino ha detto candidamente che no, quell’articolo non lo conosceva. Mi dica che ho visto male, la prego.

Luca Marinei

Ha visto bene. Ma non mi stupirei più di tanto. L’articolo 27 della Costituzione più bella del mondo dice una cosa che il Movimento 5 stelle ha scelto deliberatamente di cancellare dalla cultura politica del paese. Glielo ricordiamo noi, e se serve glielo volantiniamo anche con gli elicotteri. “La responsabilità penale è personale. L’imputato non è considerato colpevole sino alla condanna definitiva. Le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato”. Sarebbe forse troppo cattivo dire che il movimento cinque gogne difende la Costituzione senza conoscere la Costituzione. O no?

3-Al direttore - In occasione della Festa Internazionale della Storia ho avuto occasione di partecipare a una conferenza del professor Massimo Campanini, quotato storico dell’islam, dal titolo “Il sunnismo oggi”. Con spirito laico ho assistito a un’ora e mezza di esposizione di storia islamica, centrata per lo più sulla nascita dello scisma sciita e sulle successive dispute teologiche e politiche che quell’avvenimento ha comportato rispetto a ciò che verrà poi definito sunnismo. Al di là di passaggi semplicistici e azzardati come “il sunnismo è un po’ come il protestantesimo” (per evidenziarne la mancanza di gerarchia ecclesiale), di un metaforico assordante rumore di unghie spezzate a forza di arrampicarsi sugli specchi per tentare di mitigare, a fatica, con evidente sforzo pindarico, l’assenza di esegesi coranica del sunnismo (“ci sono state però tantissime discussioni interpretative da riempire biblioteche ma i media non ne parlano mai”) e di un tristissimo internazionalismo cheap  (“i libri di testo delle superiori sono troppo eurocentrici e non parlano abbastanza del resto del mondo”) pregno di banale senso di colpa occidentale, di “sunnismo oggi” non se ne è parlato fino a quando alla prima domanda da parte del pubblico, una arguta – ma ingenua – signora ha chiesto “come collocherebbe lei oggi l’Isis rispetto al sunnismo?”. E la risposta del professor Campanini è andata oltre ogni mia aspettativa: “Non mi piace parlare di questo perché l’Isis non ha niente a che vedere con l’islam”. Io mi sono alzato e me ne sono andato, non senza pensare che una affermazione simile, specie di fronte a una moltitudine di studenti, non fosse semplicemente pavida o beota, ma pericolosa, estremamente pericolosa. La scuola italiana, dalle elementari all’università, è piena di docenti così: il suicidio assistito di una nazione.

Emanuele Ulisse

Il manuale di conversazione del negazionista presenta due passaggi. Il primo: l’Isis non ha niente a che vedere con l’islam. Il secondo: i terroristi islamici non sono islamici veri ma sono solo depressi. Direbbe Nanni Moretti: continuiamo così, facciamoci del male.

4-Al direttore - Giusta e sacrosanta la vibrante protesta dei compagni Bersani e D’Alema contro la brutale ingerenza, nella politica interna del Bel Paese, del Presidente degli Stati Uniti, Obama, che ha osato esaltare le riforme, del tutto inutili, invitando a votare sì al referendum. Com’è a tutti noto, da giovani “pionieri” del Pci di Togliatti e Longo, Pigi e Massimo si spellarono le mani per applaudire la conclamata, assoluta autonomia del “partitone rosso” nei confronti delle scelte, in politica estera, dei leader del Pcus, sempre buonisti e fraternamente tolleranti con loro. Come avevano fatto i venerati compagni, Ingrao e Napolitano, che condannarono, con articolesse indignate, sull’Unità, nel 1956, l’invasione, infame e sanguinosa, dell’Ungheria da parte dei carri armati sovietici. E quando, il 24 marzo 1999, i bombardieri Nato colpirono i primi obiettivi serbi a Pristina, Pogdorica e alla periferia di Belgrado, dando inizio alla guerra del Kosovo, il primo premier postcomunista, il coraggioso compagno D’Alema, che guidava un governo di centrosinistra, decise – con fermezza e senza il cappello in mano al cospetto degli alleati dei paesi occidentali – di non far partecipare l’Italia, con propri mezzi e truppe, all’operazione militare, avviata per fermare la pulizia etnica, praticata dal regime del compagno Milosevic. O no?

Pietro Mancini