Berlusconi lancia le larghe intese: se vinciamo, Salvini all'Interno

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Sindaco è forse l’unica carica elettiva scelta in modo autenticamente diretto dal popolo sovrano, ma corre rischi senza rete. Avvisi garanzia

Lettere Direttore 19 Gennaio 2018 alle 06:12 www.ilfoglio.it

1-Al direttore - In un governo di centrodestra Salvini ministro dell’Interno. E Agcom tace su questa smaccata propaganda per le larghe intese?

Giuseppe De Filippi

Sulle missioni all’estero sono divisi. Sull’immigrazione sono divisi. Sulle pensioni sono divisi. Sull’euro sono divisi. Sull’Europa sono divisi. Sul Jobs Act sono divisi. Sul garantismo sono divisi. Lega e Forza Italia possono vincere le elezioni ma un conto è arrivare primi un conto è governare insieme. E per questo c’è come una didascalia invisibile sotto il volto di Berlusconi che lancia Salvini ministro dell’interno: occhio, che se governiamo con la Lega succede davvero. Leggete cosa dice oggi Marcello Pera al nostro David Allegranti: “Berlusconi vuole vincere ma non essere autosufficiente come centrodestra. Anche perché poi gli tocca governare con Salvini e per lui sarebbe una tragedia”. Un conto è vincere con Salvini, un conto è governare con Salvini. No?

2-Al direttore - C’è un termine che da qualche anno viene fatto girare e agitato come spauracchio: onestà. Ora, onestà è un termine che ha a che fare con molte cose, ma il più importante secondo me è il significato relativo al dire chiaramente (onestamente) cosa si è e cosa si fa. C’è un’azienda milanese che da alcuni anni sta dando la scalata allo stato dicendo di chiamarsi Movimento 5 stelle e proclamandosi democratica (l’azienda, che essa è, non un movimento) e trasparente e che in tutti questi anni ha fatto tutto in maniera autocratico-direttoriale e l’ha fatto in maniera del tutto opaca e impenetrabile. Lo vogliamo dire chiaro e tondo che sono dei disonesti, i Casaleggio boys che vanno gridando onestà! in giro per le piazze reali e virtuali?

Cordialmente.

Giovanni De Merulis

3-Al direttore - La democrazia rappresentativa è in crisi, ma uno dei motivi per evitare di rottamarla (come invecchiano le parole?!) è che l’eletto “serva” e “sia utile” agli elettori. Serve ed è utile se si assume delle responsabilità per decidere in vece di una pluralità a cui non si può chiedere sintesi e competenza. La stessa cosa vale per i sindaci: il sindaco serve se si assume la responsabilità di decidere. Anche in ragione del fatto che quella di sindaco, in un sistema politico che vive di elezioni indirette, liste bloccate, nomine e cooptazioni, è forse l’unica carica elettiva scelta in modo autenticamente diretto dal popolo sovrano. Le cartoline verdi inviate dalle procure ai municipi, con avvisi di garanzia e notifiche di indagini in corso a carico di sindaci di ogni parte o partito, dunque, non solo mettono in trappola gli eletti, ma finiscono per danneggiare gli elettori, privando i secondi della funzione dei primi. La responsabilità si trasforma in un rischio senza rete. All’origine di questa valanga di avvisi di garanzia vi è una delle fattispecie penali più discutibili e pericolose: l’abuso di ufficio. L’abuso di ufficio, se maneggiato senza cura, può produrre la modificazione genetica della condotta amministrativa posta in essere dal sindaco. E così un semplice errore si trasmuta in illecito penale con tutto quello che ne consegue in termini di reputazione, immagine e credibilità pubblica. C’è un confine molto, troppo labile tra l’abuso vero e l’errore possibile. Senza scomodare certezze proverbiali (chi fa sbaglia, chi non fa non sbaglia mai) sarebbe utile e opportuno che il legislatore riducesse lo spazio di errore, per poter far emergere solo la scelta colpevole e fraudolenta. Invece negli ultimi anni abbiamo assistito a una perniciosa tendenza a rendere più probabile l’errore, per chi è chiamato – dal mandato popolare – a scegliere, decidere, agire. Ci sono almeno due elementi che hanno aumentato esponenzialmente il rischio di confondere l’abuso con l’errore, almeno per chi amministra un ente locale. Il primo deriva da quello sfrangiamento del diritto amministrativo da più parti denunciato, ma ancora mai affrontato con determinazione. Lo documentano le sentenze opposte e contraddittorie sulle stesse fattispecie (una clamorosa dello scorso ottobre tra due sezioni del Consiglio di stato che nello stesso giorno hanno fornito sull’applicazione del “soccorso istruttorio”), così come l’avventura del nuovo Codice degli appalti o il moltiplicarsi delle pronunce dell’Anac in materia di buone pratiche. Un diritto amministrativo confuso, impreciso, generico ha prodotto incertezza, rischio o immobilismo. “Il paesaggio giuridico non è più lineare ed è diventato confuso e complicato; il diritto codificato ha perduto in semplicità, chiarezza, coerenza sistematica, lasciando vuoti sconcertanti”: sono le parole del presidente della Corte costituzionale, più o meno un anno fa. Le cose sono solo peggiorate. Il secondo elemento che induce all’errore i sindaci, facendoli cadere nella trappola dell’abuso di ufficio, è la più greve prassi del passaggio del cerino. Una vecchia cattiva abitudine del vivere civile (o incivile), dove il potente scarica responsabilità sul più debole (“superior stabat lupus”). Complice la crisi economica e istituzionale di questo ultimo decennio, abbiamo assistito a un progressivo affidamento di responsabilità a valle, da parte delle autorità centrali, senza dotare i nuovi responsabili di risorse umane e finanziarie. Abbiamo visto riproporre un ruolo di sindaco-sceriffo, senza che il comune sia stato dotato di risorse e competenze sull’ordine pubblico; abbiamo visto i comuni caricati di oneri di verifica sismica prima in capo alle province, quando le risorse che erano delle province sono state trasferite alle regioni; abbiamo visto scaricare sui comuni l’onere di un feroce taglio della spesa corrente, quando le amministrazioni centrali hanno continuato a incrementare il loro deficit. Altro che trappola! I sindaci sono in catene. Almeno quelli che vivono il mandato popolare come una responsabilità inalienabile. Dovremo aspettarci interpreti della carica elettiva solo come sfaccendati soggetti al servizio di se stessi? Un’aberrazione. Ma, si sa, il sonno della ragione genera mostri.

Guido Castelli sindaco di Ascoli